lunedì, settembre 25, 2006

Domenica 20 settembre 2006. Il ritorno

E per ora è finita. Alle 9 ci attende Lena per darci un passaggio all'aeroporto con il pulmino Rotary della biblioteca. Siamo stati assistiti sempre: Irina a Mosca e qui, qui Lena, poi ancora a Mosca dove un altro pulmino di altra biblioteca ci porterà al transfer dei voli internazionali (sono solo 7 chilometri ma si può anche perdere facilmente la coincidenza). Ci attende il recupero complessivo di 11 ore di fuso orario e un bel po' di ore in parcheggio in aeroporto in attesa del volo per Roma.
Sheremetievo dei voli internazionali è strano: edicole ma nessun giornale straniero, Internet a ben 200 rubli l'ora, cancelli di dichiarazione alla dogana per l'espatrio non assistiti (mentre lo sono quelli di chi non ha niente da dichiarare). La dichiarazione alla dogana sembra, poi, particolarmente difficile, tanto che crocchi di viaggiatori compilano la dichiarazione dandosi man forte l'uno con l'altro. Noi siamo di quelli che non hanno niente da dichiarare; o, almeno, qualcosa ci sarebbe (un po' di caviale comprato al mercato di Petropvlovsk a 24 euro al chilo) ma un aziendale habitué del viaggio in Russia ci consiglia in puro lombardo di non preoccuparsi: non sono più i tempi dei soviet, dice.
L'attesa del nostro volo dura diverse ore. Ascoltiamo le conversazioni e giochiamo al "a chi somiglia chi" con le facce dei viaggiatori in attesa. Ogni tanto esco dall'aeroporto per fumare.
Una biondina anglofona con bambino mi chiede se il pupo dà fastidio. Certo che no, e gli sorrido. Ci dice che certamente non siamo russi (infatti, la conversazione è stata da sùbito in inglese...), perché, dice, i russi non sorridono mai ai bambini. Mi accuccio e il pupo mi viene incontro fiducioso, forse stupito anche lui di un estraneo sorridente. La madre racconta di essere russa e che sta raggiungendo il marito, un americano, negli USA.
È l'ora della partenza dell'aziendale habitué, che viaggia con un amico, la giovane moglie e i piccoli figli di questi. Poco dopo ritroviamo la donna che sta con un certo magone davanti ai cancelli del check-in: marito, figli e amico aziendale sono partiti per l'Italia ma lei è rimasta qui, e rimane di vedetta finché non li vede scomparire alla vista. Come mai? È cittadina russa e anche cittadina italiana per matrimonio: poiché il passaporto italiano non era in regola, è partita con quello russo ma ora, al ritorno, non la fanno partire perché il passaporto italiano non è in regola. Che c'entra? chiedo. È così, risponde. È una pratica, dice, lenta e difficile, da impiegarci almeno un mese; per fortuna che ha un parente che lavora nei passaporti, per cui le basterà una sola settimana. Fortuna che ha casa a Mosca. E dice che i controlli sono, per lei, un po' più accurati, perché è anche mussulmana... Ah, dico io, allora è certamente una terrorista! Ride di gusto e si affretta a salutare con il braccio la famiglia che si allontana. Arrivederci e buona fortuna.
Ci allontaniamo anche noi per il nostro volo. In Russia, magari sì e anche presto - in Kamchatka, però, quando mai più? La favola finisce con il classico "stanchi ma felici della bella domenica trascorsa in gita"...

Sabato 18 settembre 2006. Ai tre fratelli

La baia di Avacha è, come detto, grandissima e ricca di insenature, con diverse navi mercantili alla fonda. Elena conosce il master & commander di un'imbarcazione ormeggiata nel porto militare, che può portarci a esplorare la baia fino al suo sfociare nell'oceano per poche migliaia di rubli. Servono però anche i nostri passaporti perché tutta la zona è sotto controllo militare. L'altro ieri alcuni russi del congresso hanno potuto visitare una base di sommergibili (questa è la Maddalena russa...) ma non noi ché siamo stranieri e, ancora una volta, non si sa mai... Meglio così, perché dei sottomarini non importa a nessuno, ma una bella navigata per la baia, e in superficie, è più che benvenuta.
Ci accompagna in macchina al porto militare Igor con Maxim e la nostra Elena. Lei verrà con noi ma i due uomini di casa no: andranno a farsi un bel giretto. Con Elena viene anche una signora (per me è la fidanzata del master & commander con la figlia - di lui? di lei?). Si sale su un peschereccio arruginito e ci si cala su una pilotina non meno antica. Sul quadrato di poppa c'è però una bella graticola per braciare i pesci. Elena e l'amica preparano sùbito il pic-nic: olive, spratti affumicati e sott'olio di girasole, conserva di felci, biscotti salati, dolcetti e l'orrido liquore dolce già provato ieri.
La barca sfila lungo la costa della baia verso il mare aperto, verso i faraglioni che chiamano "tre fratelli", aghi piantati nel mare a dimora dei gabbiani. Altro isolotto è chiamato "coccia di morto" (ovviamente, in russo) e, al ritorno, seguiamo l'altra costa, più accidentata e articolata, con grotte e archi sul mare. Si vede qualche foca o leone marino che nuota con la testa appena fuor d'acqua. E gabbiani e folaghe.
Cala improvvisa una nebbia che nasconde tutto e la temperatura si abbassa di colpo. Ma la barca usa un navigatore satellitare che traccia la rotta e disegna il profilo della costa. Il master & commander mi ficca in capo il berretto da capitano, mi pone al timone e mi presta la sua pipa: vengo foto-immortalato nelle vesti del comandante. Cerco di seguire la rotta tracciata dal satellite, ma è faticoso, non so se devo girare la barra a destra o a sinistra quando la barca si allontana dalla retta via. Me lo spiega ben lui in russo ma non capisco...
Lascio perciò la mia ahimè breve funzione di manager rimettendogli in testa il suo berretto e torno a ingozzarmi di spratti, veramente buoni. Quando lavoravo all'associazione Italia-URSS ne vendevamo a quintali, nelle loro scatolette tonde. Intanto, osserviamo il progredire della nebbia che a poco a poco ricopre tutta la baia.
Sulla terraferma, Igor e Maxim non ci lasciano ancora andare e ci portano in macchina su una collina prospiciente la città, con la vetta coperta di antenne radio e deltaplani in volo. Da lì si vede un panorama amplissimo: la città alle nostre spalle a est e la foce-delta dell'Avacha a ovest, con il sole del tramonto e la nebbia che si espande inesorabilmente. Sullo sfondo, il Viluchinski che abbiamo affrontato ieri.
Grazie Elena e grazie tutti. Promette di venirci a trovare in Italia; tempo fa, accumulando i soldi, la famiglia ha girato la Spagna, e l'Italia è d'obbligo. Speriamo di sì, perché Elena è davvero simpatica e cordiale.
In albergo ci attende una signora che ci ordina in russo di andare al bar per cenare. Non abbiamo fame con tutti gli spratti trangugiati, ma l'invito, seppur cortese, è perentorio. Ed è, effettivamente, una cortesia: l'organizzazione ci offre la cena e pagheremo solo le bevande. Poi a letto presto per preparare le valigie, ché domani Lena sarà qui già alle 9 per il passaggio in aeroporto.

Sabato 16 settembre 2006. Viluchinski e bagno selvatico

Il congresso è finito e tutti gli altri (e anche Irina - ti rivedrò? chatteremo? chissà!) sono partiti; non noi. Elena, docente d'inglese alla locale università e reclutata a hostess plurilingue per il congresso, ci organizza con il marito Igor e il figlioletto Maxim, per sua cortesia, i prossimi due giorni di permanenza: l'accordo è che divideremo le spese. Oggi pic-nic quasi sulle falde del Viluchinski, vulcano ben visibile dalla baia e, a quanto si dice, inattivo. Su 30 vulcani della Kamchatka 29 sono attivi e quello che resta è, appunto, il Viluchinski, e andremo a vedere se è vero... senza dimenticare i consueti costumi e asciugamani. L'esplorazione pare promettente.
La macchina di Igor è, come la maggior parte di quelle viste qui, una trazione integrale usata comprata in Giappone, e dunque con la guida a destra. Costeranno certamente di meno, ma la guida a destra in un paese dove non si va a sinistra (!) può portare non pochi problemi, e nei giorni scorsi abbiamo visto diversi incidenti dovuti a difficoltà di sorpasso.
[da aggiornare]

Venerdì 15 settembre 2006. Festa di chiusura

Ieri e oggi senza particolari avventure, se non quelle legate ai tempi e ai contenuti del Congresso, se non altro per seguire la presidenza di Paola nel pomeriggio che conduce, manco a dirlo, benissimo e che poi, quando è il suo turno di parlare, viene necessariamente interrotta ogni tanto dall'interprete che deve rincorrerla per tradurre in russo il suo rapido profluvio verbale. Poi chiusura della conferenza, con ringraziamenti, sfottò alle autorità e distribuzione di regali.
Venerdì sera, però, è anche in calendario la festa di chiusura, scarrozzati con il solito pullman scortato, fino a un ristorante-balera. La bibliotecaria ospite della conferenza, una moretta di mezz'età ma vivace e spigliata, s'è cambiata nel suo ufficio in un batter d'occhio: si è anche sciolta i capelli e indossa un abito da sera che, snella com'è, le sta benissimo - al punto da non riconoscerla se non si fa riconoscere lei.
Ma prima... gita sociale al mercato della città (anzi, a uno dei mercati). Amo le gite ai mercati. Servono a capire, meglio di qualsiasi altro meccanismo (forse, seconde solo alle gite ai cimiteri) l'aria che tira nella popolazione. Che cosa pensa, come si gode (o non) la vita, se è morta o se è viva nell'anima, e cose simili.
Due autobus con la solita polizia di scorta. Prima un giro per i luoghi ameni della città: le colline panoramiche, il porto visto dall'alto, le teleferiche arruginite che, in realtà, sono skilift per gli abitanti che d'inverno salgono sui monti circostanti per fare discese a rottadicollo. La neve è sempre tanta, anche 3 metri, per cui la mattina ci si butta giù dalla finestra del primo piano... e l'ultimo pianta una pala davanti a casa perché il primo che torna deve, se vuole entrare, spalare...
Ed ecco il mercato. Ricco. Neanche l'ombra dei mercati dei tempi andati. Tripudio di forme e colori vegetali e di spezie. E il pesce. Specie mai viste, ma, soprattutto, storioni, salmoni (cinque specie esclusive), aringhe grosse come tonni. Tutto seccato, affumicato, filettato, salato. E il caviale rosa in quantità mai viste. Secchi e bigonci colmi. Te ne mettono una cucchiaiata sul dorso della mano e tu assaggi, per scegliere il migliore, da quello più rosa a quello più giallo, con tutte le gradazioni intermedie. Un paradiso. Alcuni dei nostri co-convegnicoli comprano a tutto spiano; si vede che i prezzi sono buoni. Comprano anche convegnicoli che vengono da lontano, da Mosca, da Pietroburgo. Si fanno la scorta. Viaggeranno in aereo con buste di plastica che ospitano fasci di carta che avvolgono animali secchi. Ci sono anche piccoli banchi, domestici, appoggiati su carrozzine da neonati, che vendono la poca frutta o verdura dell'orto. Non compro nulla ma fotografo il bendidio: ho già impegnato mezzo chilo di caviale rosa da una della biblioteca del convegno. Sono curioso di vedere in quale confezione me lo darà, visto che devo viaggiare molte ore in aereo.
Ed ecco il ristorante, moderno, non lontano dal mare, che dev'essere anche qualcosa di più, viste le proporzioni: albergo, balera, o chissà che.
Entriamo. Tavolate immense con i nomi scritti ai posti e tutta la cena già sciorinata davanti: aspic, vol-au-vent e tartine infinite e deliziose, di pesce, di carne, di verdura; e caviale rosa e vino bianco e rosso e, naturalmente, la vodka. Fioccano i brindisi: ogni volta ci si inventa a chi brindare e poi giù tutto d'un fiato, e si ricomincia. Anche Paola, che inutilmente tenta di farsi passare per astemia...
Poi il lato retorico, immancabile, probabilmente, nell'ospitalità russa. Vengono distribuiti altri premi. Si fanno discorsi ampollosi dove le parole Rossìa, Naròdnaia, Kamchatska, Bibliotèk, e simili vengono ripetute molte volte. Ci si abbraccia e ci si bacia (e un premiato impone il "bacio alla russa" sulla bocca della bibliotecaria: a quanto pare questa tradizione non esiste più). E si ricomincia. Irina e io ci scambiamo ogni tanto un'occhiata d'intesa e, senza parlare, tanto ci si capisce, ci alziamo per andare fuori a fumare. Ci appartiamo in un angolo attrezzato e siamo sùbito circondati da viziosi con il loro metadone penzoloni fra le labbra. Vorrei sondare la sua aria eternamente triste, ma la folla dei fumatori maledetti loro e il rumore che viene dalla sala impediscono la conversazione.
Al ritorno, colpo di scena: ragazze, ragazzi e bambine, tutti vestiti da aborigeni, ci intrattengono con danze quasi tradizionali. C'è una scuola di tradizioni popolari e loro ne sono gli allievi. Gli abiti sono quelli che ben conosco dai Navajos di Tex Willer (in effetti, i paleo-siberiani sono progenitori degli amerindi) e le coreografie sono in parte sciamaniche (un ballerino morde un'amanita muscaria e ha visioni di fanciulle che gli danzano intorno, eccetera) e in parte raccontano deliziose storielle d'amore e di disavventure di pesca.
Poi attacca il cantante, la solita voce profonda e melodiosa dei russi, e si balla. Lena si accosta a Paola e le sussurra nell'orecchio il permesso di ballare con me. La merce di scambio è accordata, naturalmente. Ma davvero? E come farò con la mia gamba più corta? Mi agito cercando di tenere il ritmo indiavolato e invento anche qualche figura coreografica. Grazie Lena, sei stata deliziosa. Ora mi ci vuole però un'altra vodka. Irina mi fa un provvido cenno prima che Lena o qualsiasi altra si ripresenti, e via di nuovo a fumare. Questa volta andiamo fuori, ma fuori è un'altra folla di fumatori. Immagino che Irina volesse dirmi a sua volta qualcosa, ma il crocchio di gente ancora lo impedisce, e in più sembrano tutti molto incuriositi da me e Irina mi fa da interprete. Al nostro ritorno, apprendo che Paola è stata invitata a ballare dal Norvegese, e che se l'è cavata benissimo, anche con applausi. Evento raro, peccato non essere stato presente per una foto...

domenica, settembre 24, 2006

Mercoledì 13 settembre 2006. La valle dei geyser

Prima di partire da Roma, un pensiero preoccupava: perché sul programma è scritto che «date and time of conference events might be changed due to weather conditions»? Forse che piove nella sala del convegno? O si fa all'aperto? O la conferenza si svolge in luoghi tanto lontani tra loro da rendere difficili le comunicazioni in caso di maltempo? O che altro? E che tempo farà in questo estremo lembo d'oriente siberiano? I siti di previsioni metereologiche sulla Kamchatka non sono, credo, stati mai tanto interrogati... Arrivati lì, si vede che il tempo è bello stabile (e io, che mi ero portato abiti pesanti, già al secondo giorno non ho più camicie pulite; per fortuna la lavanderia dell'albergo è precisa ed efficiente). Sole che brucia di giorno e un certo fresco la notte. In fondo, la penisola è appena più a nord dell'Inghilterra... E allora?
E allora riecco la specialità russa, che fa ripensare al sapersi godere la vita degli australiani: poche ore di lavoro, duro ma definito e poi, via con il surf riding alla barriera corallina! (sappiamo però che in Russia non si vive come in Australia: spesso un secondo lavoro non basta... e il tempo libero, semplicemente, non c'è). Ma questa Russia è davvero speciale, e porta alla memoria i film di guerra con i soldati dell'Armata Rossa (ricordate il finale di Train de vie?) che avanzano all'attacco suonando le fisarmoniche. Insomma, l'avviso era da interpretare al contrario... Cioè: se farà bel tempo (weather conditions), col cavolo che ce ne stiamo chiusi in una sala da convegni!
E così, il tempo essendo anche oggi spelendido, tutto il programma odierno viene annullato e si parte, per davvero, per la valle dei geyser. Qualche comunicazione di oggi è stata anticipata ieri e qualcun altra posticipata a domani. (Ma a Roma ci si chiedeva: non è che la gita programmata, da pagarsi in anticipo, finisce come l'escursione a Pedrodvorec ai tempi del congresso di Pietroburgo, pagata e mai fatta né mai rimborsata... Che famo? Arrischiamo? Alla fine decidiamo che pagheremo al momento).
Be', è stata splendida. Già la prima tappa entusiasma: in autobus (non senza accompagnamento poliziesco) e con i soliti costumi da bagno nella borsa, non si sa mai, all'eliporto: battesimo dell'aria in elicottero. Da lì, divisi in gruppi (a una l'elicottero con le poltroncine, all'altro uno con le panche laterali alla militare), si va alla valle.
In effetti, viaggiare in elicottero mi preoccupava un po', ma non c'era altra soluzione, bisognava, altrimenti, rinunciare alla visita. Non se ne parla neanche! Mi veniva offerta l'occasione di visitare un posto unico al mondo per la sua concentrazione di geyser, fumarole, caldere in un paesaggio incredibile e rinunciavo perchè l'elicottero mi sembra un mezzo poco sicuro! Rischio, rischio! - mi dico.
La valle dei geyser, racconta la guida, è stata scoperta dall'idrologa russa Tatjana Ustinova nel 1941, che ci è arrivata a piedi dopo diversi giorni di trekking. In effetti, devo dire che questa modalità di conoscere la Kamchatka mi attira molto ed è effettivamente perseguita da gruppi organizzati ma nel nostro caso, come si sa, abbiamo sempre fretta e la tecnologia ci viene incontro.
Saliti sull'elicottero, allacciate le cinture di sicurezza, eravamo circa una ventina su ciascun velivolo. La nostra guida si presenta in russo prima e in inglese poi e ci comunica che il viaggio durerà un'ora e mezzo e che lungo il viaggio vedremo alcuni vulcani. Non appena l'elicottero prende quota, il rumore è tale che non si può parlare, ma solo guardare. D'altra parte, siamo qui per questo, e che vista! Ogni tanto la guida si avvicina a ciascuno di noi commentando ciò che stiamo vedendo. E devo dire che il viaggio in elicottero si presenta fantastico, a parte il rumore assordante che ci accompagna.
Dapprima si vede questo paesaggio fatto di montagne e vallate ricoperte dalla tipica vegetazione della tundra presente sui pendii di montagne vicine al mare (cespugli di conifere nane, di frassino nano) ma siamo troppi distanti e non riusciamo a riconoscere le piante (ma avremo occasione di vederli da vicino successivamente). A mano a mano che procediamo in direzione nord-est per avvicinarci alla valle, vediamo, dapprima distante, il vulcano Dzenzur (1262 m.), poi il Zhupanovsky (2293 m) con le sue fumarole e ci avviciniamo al Karymsky che ha eruttato 30 volte dalla storica eruzione del 1771 - l'ultima è avvenuta nel 1976. Il cono e le pendici sono ricoperti di lava, di colore grigio scuro, quasi nero e l'elicottero gli gira intorno, dandoci la possibilità di vederlo nella sua totalità. Che impressione! Che bellezza imponente! e nel medesimo tempo preoccupante. Non è ricoperto di neve perché quest'anno ha fatto molto più caldo del solito e la neve si è sciolta.
Non mi ero ancora ripresa da questa magica visione, dopo aver superato il vulcano ormai distrutto Dvor, che ci avviciniamo a un altro, il cui cratere è ripieno d'acqua, un lago di colore smeraldo. Si tratta del Maly Semyachick (1563 m.) e che bellezza! Mi diranno poi che il colore di quest'acqua cambia a seconda delle condizioni atmosferiche; può essere anche azzurra, oggi è di un verde stupendo, ricorda proprio lo smeraldo. Mi dà un'emozione molto forte. Questo cratere è di una bellezza indicibile.
Poco dopo incominciamo ad avvicinarci alla valle, e inizia la discesa. Atterriamo su una piccola pista dove poco dopo arrivano, distanziati da circa una decina di minuti, gli altri due elicotteri del gruppo. Nella valle ci sono piccole costruzioni in legno, la più grande è adibita a bagni per uomini e per donne, un'altra poco lontana sembra chiusa. La nostra guida ci dice che i forestali abitano stabilmente qui per controllare la valle. Prima di cominciare la visita, ci viene detto che dobbiamo assolutamente seguire il percorso che è segnato da un pavimento fatto di tavole di legno e in alcuni casi di scale in legno, che non dobbiamo mai abbandonare il percorso perché può essere pericoloso e che non dobbiamo confonderci con gli altri gruppi.
Cosa dire? il paesaggio si presenta unico. Si vedono vapori che provengano da varie parti, intervallati secondo tempi fissi (in alcuni casi ogni 15/20 minuti, in altri ogni 5/6 ore) da getti d'acqua termale bollente a 80 gradi che si solleva dai 15 ai 100 metri. Ve ne sono circa 300 in questa valle. Mentre siamo qui, al nostro gruppo viene data la possibilità di vedere un geyser dal quale l'acqua fuoriesce a getto a un'altezza di 10 metri ogni 15/20 minuti. La guida ci spiega che i geyser hanno sei fasi e che l'ultima, quella che segue alla fase di fuoriuscita dell'acqua termale, è costituita da un risucchio impressionante. La guida conosce le varie fasi e pertanto ci fa fermare dove sta per arrivare il getto d'acqua.
Camminiamo lungo questa valle, scendiamo, saliamo, seguendo il percorso stabilito e ogni tanto scopriamo delle polle di fango ribollente, tipo le nostre solfatare ma di un color marrone chiaro (ci è stato detto dalla guida che questo fango è troppo ricco dal punto di vista minerale per essere utilizzato per uso terapeutico e o cosmetico) e fumarole. Sembra di essere su un altro pianeta. In effetti, per me, che da ragazzina avevo visitato la solfatara vicino a Pozzuoli e che più di una volta ero stata in cima al Vesuvio e successivamente ero salita in prossimità dello Stromboli e ne ero rimasta molto colpita, questa volta mi sono trovata di fronte a una concentrazione di fenomeni vulcanici (geyser, caldere, solfatare) che non avevo mai visto né immaginato. Mi è venuta voglia di visitare l'Islanda, la Nuova Zelanda (vecchio sogno), il parco di Yellowstone e l'Alaska. Chissà che non ci andremo.
Saliamo nuovamente sull'elicottero e la destinazione questa volta è il fiume Zhupanov presso il quale ci fermeremo a mangiare un pasto caldo. Atterriamo poco dopo, a pochi metri dal fiume e insieme con noi vengono scaricate le vettovaglie e portate in una casetta di legno lì vicino. Non appena scesi, l'elicotterista, dotato di canna da pesca, corre al fiume e nel giro di qualche minuto pesca un salmone di almeno 8 chili.
Il paesaggio è molto bello, un fiume limpido ci scorre davanti attorniato dalla catena montuosa del vulcano Bolscioi Semyachik. Entriamo nella costruzione di legno che ha una sala da pranzo (in russo chiamata qualcosa come "tavolata": stolòvaja) e una cucina. Ci sono tre orologi con l'ora di Mosca, della Kamchatka e, non si sa mai e tanto per far capire dove siamo, anche di Washington. Ci servono una fumante e saporita zuppa di pesce (ukha) seguita da un piatto di pesce dalla carne bianca servita con riso, il tutto come sempre accompagnato da vodka e/o birra. Buona la birra della Kamchatka: ricorda quella belga in fermentazione. Siamo seduti accanto a due simpatiche bibliotecarie russe che conoscono un poco di inglese e un po' di tedesco, per cui ci intratteniamo in una breve conversazione che è intervallata da brindisi a base di vodka, alla nostra salute, alla valle di geyser, all'amicizia. Il brindisi si fa così: qualcuno ha un'idea e proclama a chi o a che cosa brindare, ci si scambia il tocco dei bicchieri (qui, di plastica!) e giù tutto d'un fiato! Per me che sono quasi astemia è una bella prova, anche perché i brindisi si susseguono... Ma mi sento straordinariamente bene.
Dopo, è d'obbligo una breve visita alla "tualet", anch'essa costruito in legno e che dall'esterno sembra una costruzione degna di una favola e che al suo interno si presenta alquanto squallida ma essenziale e assolutamente funzionale: un vano di legno con al centro un buco...
Ci saremo trattenuti nell'area circa un'oretta e mezzo, ma ora i nostri accompagnatori sono pronti per ripartire e tornare alla base. Sono ormai le 4 del pomeriggio. Ci aspetta ancora una mezz'ora di volo. Come all'andata, sono seduta su uno uno degli ultimi posti accanto al finestrino; lancio uno sguardo alla coda dell'elicottero e vedo 5 grossi salmoni adagiati. Caspita, mi dico, mentre mangiavo l'elicotterista ha avuto davvero buona pesca!

Martedì 12 settembre 2006. Chi va in giro e chi lavora

Bussano vigorosamente alla porta della stanza e gridano qualcosa. L'ubriaco di ieri? No, è la cameriera che mi avvisa in inglese che è tardi e che la colazione è quasi finita, e non nel bar ma nel ristorante. La luce delle 10 innonda la stanza. Dev'essere da mo' che Paola è al congresso; trovo un suo biglietto di auguri per la giornata. Mi catapulto giù nel sotterraneo (dei due ascensori, uno solo porta al piano zero e non c'è scala di servizio - come la mettiamo con la sicurezza?) e, in effetti, sono solo nel salone. Il menu è il medesimo di quello del bar.
4 Lukashevskogo Uliza è, a saperla trovare, non lontana dall'albergo e ospita un Internet café. 100 rubli per un'ora e ho le notizie da Monza. Avrei voluto vedere di persona Alonso che rompe finalmente la macchina, ma non mi è stato dato.
Cambiare 1000 rubli in banca è stato istruttivo. Non capivo quale fosse lo sportello giusto e ho chiesto a tutti, finché un'impiegata, forse impietosita o forse infastidita dal cliente petulante, risponde con cortesia al mio inglese e mi manda a quello che scoprirò essere lo sportello del cambiavalute. Ma non voglio cambiare i miei preziosi rubli né con euro né con dollari. Alla fine capisce e, fulminandomi con lo sguardo, mi dà 10 biglietti da 100. Posso averne, ora, 100 cambiati in biglietti da 10? Sa, è per il bus... Pare di no.
Pranzo all'albergo con i conventuali e faccio conoscenza con il resto degli "stranieri", tra i quali sono incorporati i traduttori ufficiali non locali: Irina, naturalmente, dall'aria fatale e imbronciata (devo capire questo mistero) ed Eric Azgaldov, un bel vecchio in pensione e plurilingue e, come Lena, di origini armene, tutti rigorosamente alla medesima tavola, non si sa mai. Sono simpatici, soprattutto Claudia Lux dell'IFLA, che non sembra neanche un Presidente tanto è affabile e disponibile (in Italia siamo abituati diversamente).
Approfitto per chiedere cose che mi interessano e completiamo l'amicizia al bar. Fra un bicchierone di vino rosso (suo) e un bicchierino di vodka (mio) mi informa delle commissioni che trattano della certificazione delle competenze professionali, processo che AIDA sta per lanciare anche in Italia secondo il modello europeo CERTIDoc (e ho detto tutto!).
Al convegno, Lena mi assicura che il museo è ben dotato e multilingue e vado fiducioso. È invece minuscolo e nessuno sa parlare altro che il russo né ci sono scritte in inglese alle vetrine. Ai vulcani, che sono l'essenza della regione e che grazie a loro è diventata nel 1996 patrimonio UNESCO dell'umanità, è dedicato un solo pannello. Il resto è su flora e fauna. Uccelli impagliati, orsi e granchi giganteschi. E storia delle esplorazioni. Poi, tutta una sezione sugli aborigeni paleosiberiani, antenati degli Amerindi e imparentati con gli Inuit (quelli dell'Esquimia...) e oggi pressoché scomparsi. Coriachi, Kamciadali e Itelmeni sono ridotti più a nord, e mantengono, in poche migliaia, qualche tradizione, e non solo per i turisti che vogliono fotografare le danze sciamaniche, come se fosse cosa per loro. Le ricostruzioni sono accurate e imparo, in immagini, a costruire tende, scuoiare animali, battere il tamburo e pescare questi salmoni che sembrano balene.
La sera, solita cena al tavolo degli esteri dove incontro i reduci dal convegno. Questa cucina della Kamchatka è buona, tutta a base di pesce (e che pesce!) ma saporita e leggera e raffinata. Un brodettino di pesce che si chiama ovviamente Ukha ha molto successo. È più chiaro ed elaborato dell'Ukha comune con l'uovo, e che piaceva tanto a Ivan il Terribile che vi faceva aggiungere anche carne e funghi. Ma, si sa, era Terribile!
Ukha della Kamchatka. Prendi un quarto di salmone pulito, un quarto di filetti di salmone spellati e mezzo chilo di rigaglie di salmone (testa, coda, pinne, ossa) - viene meglio se le qualità dei salmoni sono diverse; magari si può variare, da noi, con la trota salmonata o con l'aringa fresca, ma chissà? - , cipolla, 4 carote, radice di pastinaca (la "patata del popolo" prima di Colombo - se non è disponibile, prova con il sedano rapa), 3 patate, scalogno e aneto tritati fini e prezzemolo tritato grosso, nonché bouquet garni in sacchetto di tela, composto da prezzemolo, aneto, alloro, grani di pepe nero. E ancora vodka, pepe macinato, sale e fette di limone per decorazione.
Metti in pentola 6 tazze d'acqua, il quarto di salmone pulito, la cipolla, la carota più grossa tagliata in quarti, la pastinaca, il bouquet garni con sale e pepe. Fa' bollire schiumando finché necessario e poi copri riducendo la fiamma per ancora una mezz'ora. Passa al setaccio il tutto estraendone più liquido che puoi. Rimetti al fuoco il liquido estratto aggiungendo le rigaglie di salmone, la vodka, le patate e le altre carote tagliate fini. Al primo bollore riduci la fiamma a prosegui per quasi mezz'ora finché le verdure non sono tenere. Estrai il pesce e riponilo, getta le rigaglie e tutto il resto ma trattieni le patate e le carote che poni da parte e risciacqui. Rimetti a fuoco dolce per qualche minuto, poi cola il tutto perché il brodo sia composto solo d'acqua. Aggiungi i filetti di salmone e fa' cuocere a media fiamma per pochi minuti. Intanto taglia a pezzetti le patate e taglia finemente i quarti di carota. Prepara 6 o 7 tazze da brodo nelle quali ripartisci i filetti, le patate, le carote e il brodo. Mescola e aggiungi scalogno, aneto e prezzemolo. Guarnisci con le fette di limone.


Lunedì 11 settembre 2006. Apertura calda e umida

Primo passo è la colazione. Gli altri convegnicoli non sono anora arrivati tutti e la colazione si fa obbligatoriamente al bar dell'albergo. Le ragazze che servono al bar, poco più che adolescenti, portano microgonne sopra gambe lunghe, ma non sorridono né esprimono il minimo movimento facciale. Si scoprirà poi che dev'essere una costante russa, finché non ti riconoscono; da allora in poi, i sorrisi (provocati, cioè devi sempre sorridere tu per primo, o fare un amichevole cenno di saluto con la mano) arrivano; non solo: hanno anche imparato che fumo e mi portano spontaneamente un portacenere. Spassiba. Che si mangia? Piattino di default con tre fette di salame e due di formaggio e un altro default con tre cakes all'uvetta, poi la scelta: prendiamo kefir, omelette, chai e caffè. Nel menu c'è la scelta fra caffè ed espresso, ma questo non è che la medesima cosa del primo però in una tazza appena più piccola.
Ecco come fare un espresso alla russa: versa il macinato nella pistola della Faema, non lo pressare per l'amor di dio, incastralo nella macchina e avvia il processo, poi va' a fare dell'altro e torna appena prima che il caffè fuoriesca dalla tazza. A questo punto diluiscilo ancora un po' ponendo la tazza sotto il getto del vapore; così, tra l'altro, ne ricavi anche una bella schiumetta che fa tanto espresso italiano ma dalla quale nessuna Venere potrebbe mai nascere.
Si torna in città, ormai conosciamo le linee giuste. Ancora la piazza del Lenin con il cappotto svolazzante: è, in effetti, questo il centro della città, tutto il resto della città (estesa per 12 chilometri) non è che un aggregato di periferie. La memoria torna automaticamente al Borghetto Prenestino o, al più, al Tiburtino Terzo pre-restauro. Comunque, il centro c'è ed è di fronte al mare, con un laghetto costiero e il porto dappertutto; solo che il "centro" non è nato, come quasi dappertutto in Europa, per crescita di abitazioni intorno alla piazza del mercato/chiesa. Qui ci sono solo edifici pubblici: il governo, il teatro, l'ospedale, il partito, per cui l'effetto è straniante. Dovrebbe essere così anche Brasilia, per quanto visto nelle foto.
E riprendiamo il giro su per la collina, interrotto ieri. Prima però mi faccio fotografare mentre tocco l'oceano: adesso, con il Pacifico, ho toccato davvero tutti i mari. La collina Nikolkaskaja è, come detto, verdissima e puntellata di cimeli della guerra di Crimea. Sì, le navi inglesi e francesi sono arrivate, chissà perché, fin qui durante la guerra del 1854-56 e la guarnigione locale ha difeso eroicamente la città e la Kamachatka tutta senza nemmeno sapere di essere in guerra con inglesi e francesi... La passeggiata prosegue sulla collina che sovrasta il mare, donde si gode un panorama di eccezionale bellezza, con sempre la mole del Viluchinski in lontananza.
Domani sarò a spasso da solo perché non partecipo ai lavori del convegno, per cui cerchiamo di identificare il museo dove immagino di trascorrere qualche ora a conoscere cultura e territorio della penisola (ma i kamchakiani parlano del resto della Russia chiamandola "il continente": dunque, ritengono di trovarsi su un'isola, e non hanno torto, visto che la Kamchatka è così diversa dal resto).
Alle 19 è prevista la cerimonia d'apertura del convegno, con personalità locali (sindaco, assessore) e nazionali del settore. Perché due autobus fermi davanti all'albergo? Dove si fa questa cerimonia? Possibile che sia tanto lontano se la sede del convegno è a due passi girato l'albergo? La risposta è di quelle che ti fanno innamorare ancor più di questo mondo: si va a Paratunka, luogo di terme d'acqua calda: portatevi il costume e l'asciugamano, mi raccomando! E così, partiamo scortati dalla polizia...
Questa della scorta della polizia è la caratteristica che accompagnerà tutti i nostri spostamenti ufficiali: un po' (dicono) per avere sempre strada libera, un po' per controllare che gli autisti rispettino i limiti di velocità, o che non sbaglino strada (?) e un po' perché siamo, in qualche modo, dei vip che meritano protezione... sarà, ma la cosa fa rimanere perplessi.
Ed eccoci alle terme, ora di proprietà di una delle tante banche sorte come funghi nell'era di Eltsin. Tavola imbandita di aringhe, salmoni, caviali, tartine varie e dolci e brandy e vodka a volontà. Discorsi ufficiali e assaggi plurimi. Poi, tutti via a fare il bagno nelle vasche calde. Siamo quasi tutti di mezz'età e lo spettavolo non è proprio entusiamente. L'unica che meritasse il bikini era Irina ma non ne vuole sapere di fare il bagno, forse anche perché si porta dietro una bella tosse catarrosa (che aggiunge fascino bohémien al suo eterno broncio): per farsi perdonare, prende le nostre macchine e ci fotografa mentre siamo a mollo. Poi si torna nel salore a completare il buffet, al quale sono serviti adesso anche shashlick fumanti con salsine tra cui una senape che fa impallidire quella di Digione. Sono tentato di rubare una delle poche bottiglie di vodka non aperte, per la scorta domestica ma Paola mi minaccia con gli occhi. Pazienza, non facciamoci riconoscere ma ricordiamocela al duty free del ritorno (Russian Standard, molto buona, ma ho testato che anche la Parliament non è da meno - devono essere marche nuove: la mia cultura si limitava a Moskovskaya e Stolichnaya, a parte quella finlandese che ho studiato a Pietroburgo).
La seconda notte è più difficle della prima: il jet lag ci sveglia nel cuore della notte e si arriva al mattino con gli ochhi arrossati. Ci aiuta anche a restare svegli un ubriaco che sta girando per l'albergo bussando vigorosamente a tutte le porte nel cuore della notte in cerca di alcool; da domani di lui non ci sarà più traccia e da domani, in compenso, tutte le sere ci sarà un poliziotto nella hall...

domenica, settembre 17, 2006

Domenica 10 settembre 2006. Petropavlovsk Kamchatski

Sono qui le 11 del mattino, a Mosca sono le 2 di notte e a Roma è la mezzanotte di sabato. Splendido: il jet lag si farà sentire duramente, tanto più che si è volato verso est, con ore di sonno rubate e altrettante sottratte alla nostra vita.
L'aeroporto gode di una splendida vista su un gigantesco vulcano che sembra a pochi metri. Nessun controllo di alcun genere, ma solo attendere nel prato di fronte che gli altri viaggiatori ritirino i loro bagagli spediti. C'è ovviamente qualcuno ad attenderci: una specie di generale in gonnella e una giovane armena, Lena Abramyan, qui emigrata con la famiglia anni fa. Ecco anche gli altri stranieri del convegno: un Library of Congress esperto di russo e armato di banjo e il capo della European Library, Jill Cousins con il marito.
L'albergo è un moderno tre stelle ma russo, cioè con quell'aria di arrangiato e pericolante che qui sembra normale. È invece costruito, come tutto qui, con criteri antisimici potenti (non c'è stato un solo crollo negli ultimi terremoti da molto tempo - circa due o tre al mese). È posto in una landa desolata, con i campi e i prati davanti, cantieri in costruzione (tra cui una gigantesca chiesa a pianta circolare - ormai il culto va di moda), sfasciamacchine ed edifici abbandonati. Insomma, sembra una delle nostre periferie degradate, mentre è parte viva della città. Come può essere?
Dopo aver preso possesso della stanza, decidiamo di andare ad esplorare la città. Prima difficoltà: identificare le fermate degli autoubus e soprattutto le linee che portano in centro. Spesso le fermate non portano nessuna indicazione, e soprattutto non sono riportate le linee che ci passano. Svetlana, la ragazza della reception, ci scrive su un biglietto in russo la nostra destinazione, la piazza del teatro, una volta chiamata piazza Lenin. Saliamo sul primo autobus, mostriamo il nostro biglietto al conducente che dice di no e ci fa scendere. Proviamo con il secondo e questa volta ci va bene. Ci accomodiamo in un autobus di fabbricazione coreana (tutte le istruzioni e la pubblicità sono in coreano, salvo il cartello posto accanto all'autista che dice in russo che il biglietto costa 10 rubli), che ci fa fare un lungo giro prima di arrivare nella piazza di Lenin, dov'è collocata una gigantesca statua del padre della rivoluzione russa con cappotto svolazzante.
La vista dalla piazza è molto suggestiva, davanti a noi la baia di Avacha, che è una delle più belle baie del mondo, da competere con Rio de Janeiro, e dietro di noi le colline di Petropavlovsk. La piazza pullula di persone, perché questa domenica si celebra l’anniversario della città fondata nel 1741. Ci sono divertimenti per i bambini, giostre, e soprattutto cibo, shashlick preparati al momento e grosse padelle con riso ripassato nell’olio. Si diffonde nell'aria quest'odore di carne arrostita, per cui decidiamo di sederci anche noi e condividere quest'esperienza. Ci fanno accomodare a un tavolino dove ci sono due signore russe, di circa 60 anni con un bambino di 3 o 4 anni. Nel nostro limitatissimo russo ci presentiamo e scopriamo che si tratta di una nonna, Margherita, con il nipote Arif, e una sua amica Galina. Ci offrono subito della vodka che avevano portato con sé per la gita (come le sigarette: mai uscire senza!). La conversazione continua, in modo un po' difficile, ma da entrambe le parti cerchiamo di sforzarci, così ci scambiamo un po' di informazioni: una delle due è stata un'attiva comunista; l’altra, invece, non ci ha mai creduto molto, ed è invece molto religiosa (ma forse ci sta prendendo in giro...). Continuano a comprare shashlick per noi e cercano di farci bere altra vodka. Galina tira fuori il suo cellulare (anche qui quasi tutti hanno un cellulare) e parla con qualcuno facendo riferimento a noi, perché sentiamo ripetere la parola italianski.
Sono passate un paio d'ore sono le quasi le 2 del pomeriggio e vorremmo continuare il nostro giro esplorativo della città, ma le due donne ci vogliono con loro, facciamo insieme una breve passeggiata lungo la spiaggia, dove l'odore del mare è forte: saranno le alghe, le stelle marine in putrefazione, ma quest'odore a me piace molto. Ci sono anche molte meduse, lungo la battigia. Mi chino a raccogliere una stella marina, e nell'alzarmi vedo di fronte un bel vulcano striato di neve in lontanza. Chiedo a Margherita il nome del vulcano: è Viluchinski. È un vulcano estinto.
Continuiamo la passeggiata con loro lungo la spiaggia e ci presentano ad altre due coppie di russi, ci fermiamo presso di loro e iniziamo di nuovo a mangiare e bere. Ritorniamo nella piazza e nel frattempo il figlio di Galina aveva portato l'occorrente per un picnic sull'erba: cioè tovaglia, frutta, succo di frutta e soprattutto vodka! Ci rendiamo conto che, se anche sono le 4 del mattino per il nostro orologio biologico, non possiamo non continuare a mangiare e bere. E così per altre due ore rimaniamo in loro compagnia. Facciamo un po' di fotografie, ci scambiamo gli indirizzi con Margherita, e alla fine di questo intenso pomeriggio, le lasciamo forse un po' bruscamente, ma non ne potevano più...
Comunque, è stata una bella esperienza e abbiamo avuto modo di apprezzare l'ospitalità e la generosità russe. Continuiamo il nostro giro, incamminandoci verso la collina Nikolkaskaja, una bella collina piena di verde e di monumenti dedicati ai caduti della Guerra di Crimea. Ma siamo troppo stanchi per la salita e torniamo indietro.
Abbiamo intanto fatto un bel po' di foto. Le strade sono ancora affollatissime di persone che passeggiano e chiaccherano e alcuni giovani bevono come sempre vodka e brandy russo. Abbiamo ripreso l'autobus e siamo tornati in albergo. Erano circa le 7.30 di sera (per noi le 6 del mattino), ma c'era ancora luce. In effetti qui c'è luce in questa stagione fino alle 9 di sera.
A domani, sì, ma stanotte c'è spettacolo: tengo d'occhio l'orologio che ho lasciato sull'ora di Roma per essere sicuro di essere al video quando serve, sperando di vedere in contemporanea la Formula 1 di Monza dove la Ferrari "deve" vincere sulla Renault e dove Schumacher dirà che cosa vuol fare da grande, ma invano: la televisione trasmette solo in russo, meno un canale in giapponese e uno australiano che però non dà soddisfazioni e c'è sì un canale sportivo ma trasmette tutti gli sport meno che il solo che mi interessa. Neanche uno straccio di CNN. Pazienza, domani Google News mi farà sapere ma non sarà stata la stessa cosa...

giovedì, settembre 14, 2006

Sabato 9 settembre 2006. Mosca-Petropavlovsk Kamchatski

Riecco la splendida Irina con il suo pulmino per Sheremetievo voli interni. Sabato è giorno di transumanza per i moscoviti che vanno alla dacia fuori città e il viaggio per l'aeroporto dura una buona mezz'ora in più, come il ritorno Ostia-Roma la domenica pomeriggio. Qui ci lascia per correre ai voli internazionali a ricevere altri delegati al convegno. Ciao: ci si rivede in Kamchatka.
Sheremetievo voli interni ospita una fila gigante di viaggiatori in attesa del controllo anti-terrorismo (anche la Russia ha i suoi problemi...), in una struttura non più grande di Capodichino. Facciamo la fila con pazienza ma, al nostro turno, ci viene detto che il controllo per il nostro volo comincia fra un'ora, per cui torniamo al bar a scrivere cartoline.
Vedo poi un banchetto che promette accesso veloce per chi non ha bagaglio da spedire. È vero? Confermano, ci pesano i bagagli e ci rimettiamo in fila, questa volta veloce. Non abbiamo con noi armi di distruzione di massa tipo limette per le unghie o forbicine, per cui anche il resto dei controlli fila veloce. La sala d'attesa interna è stracolma: un solo volo al giorno per quella destinazione fa sì che la Compagnia viaggi sempre a pieno carico. Ma dove la metteranno tutta questa gente?
Ecco dove: non è un Tupolev ma un Iliuscin l'aereo che ci porterà ai confini del mondo. È grande, del tipo transoceanico, e spazioso, con posto per le gambe e molta aria sopra la testa. Un sogno rispetto a quando s'è volato British per l'Australia o Swiss per l'Argentina dove ti ritrovi all'arrivo con le gambe formicolanti per la costrizione e impossibilitato a dormire se non rigorosamente seduto... 9 ore di volo passano abbastanza in fretta e anche il nutrimento non è male.

Venerdi' 8 settembre 2006. Mosca

Mosca Mosca. In metro. Stazione Partisanskaia per la Krasnaja Plosha. Paola fa amicizia con una matrioska che sembra uscita da un romanzo russo dell'800. Si capiscono a gesti, ridono, ammiccano. La signora chiede timidamente qualche rublo e glie ne diamo 100 (3 euro) e non le sembra vero. Benedizioni e sorrisi. All'uscita, mentre cerchiamo di capire dov'è l'uscita, un altro ci si propone in qualche forma di inglese per guidarci fuori. Mia moglie malata. Serve una guida per la città? Gli diamo i soliti 100 e ne vorrebbe ancora. Non possiamo dargli torto, ma ci sganciamo.
Piazza Rossa! Quando ci sono stato trent'anni fa era coperta da una fila serpentina che aspettava il turno per vedere il cadavere di Lenin; adesso ci sono sposi che fanno le foto. Ma Lenin pare sempre lì anche se il portone del mausoleo è chiuso e non c'è neanche nessuno di guardia. Ai miei tempi (si può dire?) c'erano agenti KGB dappertutto e mentre sfilavi all'interno ti osservavano fisso casomai stessi pensando a qualche attentato che, in quelle condizioni, sarebbe stato puro suicidio.
Ci facciamo delle foto anche noi e poi dritti a vedere l'interno di San Basilio, che non mi avevano lasciato vedere trent'anni fa. Minuscola e angusta che non si crederebbe guardandola da fuori. In una cappella un coro di tre ragazzi intona un coro religioso con quella voce meravigliosa tipica dei canti russi. In quell'ambiente, in più, ci si commuove. I ragazzi vendono direttamente i loro CD. Una macchina stampa a richiesta medagliette di latta con immagini sacre da appendere al collo.

A due passi ci sono i famosi magazzini GUM: obbligatoria una visita nell'edificio che da fuori sembra un ministero o un grande albergo anni '20. Entrati, sembra il medesimo splendore di 30 anni fa. No: adesso ci sono le scale mobili e i negozi sono più o meno quelli stessi che trovi da noi, compresi i fast food. Pausa per una pivo (birra, pron. piva) e un the (chai, come più o meno in tutto il mondo meno, credo, che in Francia Italia e Inghilterra). Qui la batteria della Canon decide di andare in riposo: forse è questo il luogo adatto per trovarne una di ricambio. Ci si scontra inizialmente con la propensione al servizio dei russi, per cui la ragazza del chiosco delle informazioni ci manda, in uno scrabbling english, a un negozio di fotocopie. Batarìa? Niet batarìa. Ma c'è poco lontano un negozio di telefonini, fornitissimo. Qui l'inglese è un poco più fluente, ma proprio il nostro modello non c'è. Pazienza: niente più foto-documentazione su Mosca fino a domani.
E allora via Barbarka per andare alla Kitai Gorod, con il famoso albergo Rossia in demolizione per farne uno più bello e più grande. Povero Rossia, fa tristezza vederti demolire pezzo su pezzo. Via Lubianka, dove c'era Beria... ma anche la piazza Slavankaia e la statua agli eroi Cirillo e Metodio, inventori d'alfabeto, con lumetto eternamente acceso da una fiamma alimentata dall'olio fornito espressamente e nientedimeno da Gerusalemme. Ma il lumetto è spento.
Indietro alla vecchia via Arbat, cuore dei frichettoni locali e di locali (nel senso di esercizi commerciali) italiani. C'è anche un inaspettato ristorante "Liguria" costruito all'angolo di un palazzo moderno ma come se ne fosse un'appendice medievale che ricorda i castelli della Disney. Promette trenette al pesto e vino delle Cinqueterre.
Ma c'è anche una nuova via Arbat, traboccante di omologata modernità. Ma guarda! Un gigantesco negozio di accessori elettronici vicino al solito "casino"; vuoi vedere che...? Dozzine di batterie, ma non quella per noi. Ci sarà pure un negozio Canon a Mosca, perbacco, ma dove? Sulla nuova Arbat passano ogni tanto giovanissime bellissime elegantissime inarrivabili e sicuramente costosissime del genere top model, come nel maggio di due anni fa, a bizzeffe, lungo la Nevsky prospekt di Leningrado, pardon, Città di San Pietro.
Già la stanchezza comincia a farsi sentire ed è quasi ora di cena e, fiduciosi della Lonely Planet, siamo alla ricerca di un ristorante georgiano segnalato ma che è lontanissimo e introvabile perché, scopriamo poi, è accuratamente nascosto nel retro-giardino di un caseggiato. Facciamo amicizia con il ragazzo che canta per i commensali, un baritono che studia opera lirica al conservatorio ma che, per necessità, pratica le canzoni di Jovannotti per rovinarsi la voce. La cena non è gran che o non sappiamo ordinare i piatti giusti e si ritorna all'Ismailovo, ché domani mattina viene a prenderci Irina per scortarci all'aeroporto.
Buona notte Mosca. Un milione di cose non viste né esperite: sarà per la prossima volta.

martedì, settembre 12, 2006

Giovedi' 7 settembre 2006. Roma-Mosca

12,40 partenza da Fiumicino, con Canon digitale acquistata in fretta in aereoporto. 3 ore e mezza di Tupolev 154 (quelli che stanno cadendo in Siberia) e poi Sheremetievo dove una bellissima bielorussa, Irina Gaishun, ci attende con autista di pulmino porta-chissaché, destinazione Ismailovo, fuori città, un'ora di traffico in superstrada che serpeggia tra centrali nucleari. Grazie Irina, ci si rivede sabato, quando tornerà a riprenderci con il medesimo pulmino per condurci all'aereoporto. Anche Irina verrà in Kamchatka ma non insieme con noi.

Ismailovo è, in pratica, una città-albergo: ce ne sono almeno 6, tutti altissimi e tutti con il medesimo nome, distinti da una lettera greca. Primo scontro con la burocrazia e con la calma russa, con attesa di più di mezz'ora per sentirsi dire che non era questo il nostro albergo, ma poi troviamo la via giusta e una receptionist che parla inglese; il mio russo è tanto arruginito che è meglio fare la figura del turista deficiente.


Sono già le 20 (a Roma le 18) e si va a cena. Intorno alla città-albergo pullulano i locali da "casino" (nel senso di gioco d'azzardo) in un tutt'uno con farmacie aperte 24/24 e negozi di alimentari 24/24 (ma la vodka solo fino alle 23) e fast food con shwarma, tutti 24/24.
Buona cena in un ristorante che si chiama Albatros dove i camerieri sono vestiti alla marinara, della marineria russa, naturalmente.