domenica, settembre 24, 2006

Mercoledì 13 settembre 2006. La valle dei geyser

Prima di partire da Roma, un pensiero preoccupava: perché sul programma è scritto che «date and time of conference events might be changed due to weather conditions»? Forse che piove nella sala del convegno? O si fa all'aperto? O la conferenza si svolge in luoghi tanto lontani tra loro da rendere difficili le comunicazioni in caso di maltempo? O che altro? E che tempo farà in questo estremo lembo d'oriente siberiano? I siti di previsioni metereologiche sulla Kamchatka non sono, credo, stati mai tanto interrogati... Arrivati lì, si vede che il tempo è bello stabile (e io, che mi ero portato abiti pesanti, già al secondo giorno non ho più camicie pulite; per fortuna la lavanderia dell'albergo è precisa ed efficiente). Sole che brucia di giorno e un certo fresco la notte. In fondo, la penisola è appena più a nord dell'Inghilterra... E allora?
E allora riecco la specialità russa, che fa ripensare al sapersi godere la vita degli australiani: poche ore di lavoro, duro ma definito e poi, via con il surf riding alla barriera corallina! (sappiamo però che in Russia non si vive come in Australia: spesso un secondo lavoro non basta... e il tempo libero, semplicemente, non c'è). Ma questa Russia è davvero speciale, e porta alla memoria i film di guerra con i soldati dell'Armata Rossa (ricordate il finale di Train de vie?) che avanzano all'attacco suonando le fisarmoniche. Insomma, l'avviso era da interpretare al contrario... Cioè: se farà bel tempo (weather conditions), col cavolo che ce ne stiamo chiusi in una sala da convegni!
E così, il tempo essendo anche oggi spelendido, tutto il programma odierno viene annullato e si parte, per davvero, per la valle dei geyser. Qualche comunicazione di oggi è stata anticipata ieri e qualcun altra posticipata a domani. (Ma a Roma ci si chiedeva: non è che la gita programmata, da pagarsi in anticipo, finisce come l'escursione a Pedrodvorec ai tempi del congresso di Pietroburgo, pagata e mai fatta né mai rimborsata... Che famo? Arrischiamo? Alla fine decidiamo che pagheremo al momento).
Be', è stata splendida. Già la prima tappa entusiasma: in autobus (non senza accompagnamento poliziesco) e con i soliti costumi da bagno nella borsa, non si sa mai, all'eliporto: battesimo dell'aria in elicottero. Da lì, divisi in gruppi (a una l'elicottero con le poltroncine, all'altro uno con le panche laterali alla militare), si va alla valle.
In effetti, viaggiare in elicottero mi preoccupava un po', ma non c'era altra soluzione, bisognava, altrimenti, rinunciare alla visita. Non se ne parla neanche! Mi veniva offerta l'occasione di visitare un posto unico al mondo per la sua concentrazione di geyser, fumarole, caldere in un paesaggio incredibile e rinunciavo perchè l'elicottero mi sembra un mezzo poco sicuro! Rischio, rischio! - mi dico.
La valle dei geyser, racconta la guida, è stata scoperta dall'idrologa russa Tatjana Ustinova nel 1941, che ci è arrivata a piedi dopo diversi giorni di trekking. In effetti, devo dire che questa modalità di conoscere la Kamchatka mi attira molto ed è effettivamente perseguita da gruppi organizzati ma nel nostro caso, come si sa, abbiamo sempre fretta e la tecnologia ci viene incontro.
Saliti sull'elicottero, allacciate le cinture di sicurezza, eravamo circa una ventina su ciascun velivolo. La nostra guida si presenta in russo prima e in inglese poi e ci comunica che il viaggio durerà un'ora e mezzo e che lungo il viaggio vedremo alcuni vulcani. Non appena l'elicottero prende quota, il rumore è tale che non si può parlare, ma solo guardare. D'altra parte, siamo qui per questo, e che vista! Ogni tanto la guida si avvicina a ciascuno di noi commentando ciò che stiamo vedendo. E devo dire che il viaggio in elicottero si presenta fantastico, a parte il rumore assordante che ci accompagna.
Dapprima si vede questo paesaggio fatto di montagne e vallate ricoperte dalla tipica vegetazione della tundra presente sui pendii di montagne vicine al mare (cespugli di conifere nane, di frassino nano) ma siamo troppi distanti e non riusciamo a riconoscere le piante (ma avremo occasione di vederli da vicino successivamente). A mano a mano che procediamo in direzione nord-est per avvicinarci alla valle, vediamo, dapprima distante, il vulcano Dzenzur (1262 m.), poi il Zhupanovsky (2293 m) con le sue fumarole e ci avviciniamo al Karymsky che ha eruttato 30 volte dalla storica eruzione del 1771 - l'ultima è avvenuta nel 1976. Il cono e le pendici sono ricoperti di lava, di colore grigio scuro, quasi nero e l'elicottero gli gira intorno, dandoci la possibilità di vederlo nella sua totalità. Che impressione! Che bellezza imponente! e nel medesimo tempo preoccupante. Non è ricoperto di neve perché quest'anno ha fatto molto più caldo del solito e la neve si è sciolta.
Non mi ero ancora ripresa da questa magica visione, dopo aver superato il vulcano ormai distrutto Dvor, che ci avviciniamo a un altro, il cui cratere è ripieno d'acqua, un lago di colore smeraldo. Si tratta del Maly Semyachick (1563 m.) e che bellezza! Mi diranno poi che il colore di quest'acqua cambia a seconda delle condizioni atmosferiche; può essere anche azzurra, oggi è di un verde stupendo, ricorda proprio lo smeraldo. Mi dà un'emozione molto forte. Questo cratere è di una bellezza indicibile.
Poco dopo incominciamo ad avvicinarci alla valle, e inizia la discesa. Atterriamo su una piccola pista dove poco dopo arrivano, distanziati da circa una decina di minuti, gli altri due elicotteri del gruppo. Nella valle ci sono piccole costruzioni in legno, la più grande è adibita a bagni per uomini e per donne, un'altra poco lontana sembra chiusa. La nostra guida ci dice che i forestali abitano stabilmente qui per controllare la valle. Prima di cominciare la visita, ci viene detto che dobbiamo assolutamente seguire il percorso che è segnato da un pavimento fatto di tavole di legno e in alcuni casi di scale in legno, che non dobbiamo mai abbandonare il percorso perché può essere pericoloso e che non dobbiamo confonderci con gli altri gruppi.
Cosa dire? il paesaggio si presenta unico. Si vedono vapori che provengano da varie parti, intervallati secondo tempi fissi (in alcuni casi ogni 15/20 minuti, in altri ogni 5/6 ore) da getti d'acqua termale bollente a 80 gradi che si solleva dai 15 ai 100 metri. Ve ne sono circa 300 in questa valle. Mentre siamo qui, al nostro gruppo viene data la possibilità di vedere un geyser dal quale l'acqua fuoriesce a getto a un'altezza di 10 metri ogni 15/20 minuti. La guida ci spiega che i geyser hanno sei fasi e che l'ultima, quella che segue alla fase di fuoriuscita dell'acqua termale, è costituita da un risucchio impressionante. La guida conosce le varie fasi e pertanto ci fa fermare dove sta per arrivare il getto d'acqua.
Camminiamo lungo questa valle, scendiamo, saliamo, seguendo il percorso stabilito e ogni tanto scopriamo delle polle di fango ribollente, tipo le nostre solfatare ma di un color marrone chiaro (ci è stato detto dalla guida che questo fango è troppo ricco dal punto di vista minerale per essere utilizzato per uso terapeutico e o cosmetico) e fumarole. Sembra di essere su un altro pianeta. In effetti, per me, che da ragazzina avevo visitato la solfatara vicino a Pozzuoli e che più di una volta ero stata in cima al Vesuvio e successivamente ero salita in prossimità dello Stromboli e ne ero rimasta molto colpita, questa volta mi sono trovata di fronte a una concentrazione di fenomeni vulcanici (geyser, caldere, solfatare) che non avevo mai visto né immaginato. Mi è venuta voglia di visitare l'Islanda, la Nuova Zelanda (vecchio sogno), il parco di Yellowstone e l'Alaska. Chissà che non ci andremo.
Saliamo nuovamente sull'elicottero e la destinazione questa volta è il fiume Zhupanov presso il quale ci fermeremo a mangiare un pasto caldo. Atterriamo poco dopo, a pochi metri dal fiume e insieme con noi vengono scaricate le vettovaglie e portate in una casetta di legno lì vicino. Non appena scesi, l'elicotterista, dotato di canna da pesca, corre al fiume e nel giro di qualche minuto pesca un salmone di almeno 8 chili.
Il paesaggio è molto bello, un fiume limpido ci scorre davanti attorniato dalla catena montuosa del vulcano Bolscioi Semyachik. Entriamo nella costruzione di legno che ha una sala da pranzo (in russo chiamata qualcosa come "tavolata": stolòvaja) e una cucina. Ci sono tre orologi con l'ora di Mosca, della Kamchatka e, non si sa mai e tanto per far capire dove siamo, anche di Washington. Ci servono una fumante e saporita zuppa di pesce (ukha) seguita da un piatto di pesce dalla carne bianca servita con riso, il tutto come sempre accompagnato da vodka e/o birra. Buona la birra della Kamchatka: ricorda quella belga in fermentazione. Siamo seduti accanto a due simpatiche bibliotecarie russe che conoscono un poco di inglese e un po' di tedesco, per cui ci intratteniamo in una breve conversazione che è intervallata da brindisi a base di vodka, alla nostra salute, alla valle di geyser, all'amicizia. Il brindisi si fa così: qualcuno ha un'idea e proclama a chi o a che cosa brindare, ci si scambia il tocco dei bicchieri (qui, di plastica!) e giù tutto d'un fiato! Per me che sono quasi astemia è una bella prova, anche perché i brindisi si susseguono... Ma mi sento straordinariamente bene.
Dopo, è d'obbligo una breve visita alla "tualet", anch'essa costruito in legno e che dall'esterno sembra una costruzione degna di una favola e che al suo interno si presenta alquanto squallida ma essenziale e assolutamente funzionale: un vano di legno con al centro un buco...
Ci saremo trattenuti nell'area circa un'oretta e mezzo, ma ora i nostri accompagnatori sono pronti per ripartire e tornare alla base. Sono ormai le 4 del pomeriggio. Ci aspetta ancora una mezz'ora di volo. Come all'andata, sono seduta su uno uno degli ultimi posti accanto al finestrino; lancio uno sguardo alla coda dell'elicottero e vedo 5 grossi salmoni adagiati. Caspita, mi dico, mentre mangiavo l'elicotterista ha avuto davvero buona pesca!

Martedì 12 settembre 2006. Chi va in giro e chi lavora

Bussano vigorosamente alla porta della stanza e gridano qualcosa. L'ubriaco di ieri? No, è la cameriera che mi avvisa in inglese che è tardi e che la colazione è quasi finita, e non nel bar ma nel ristorante. La luce delle 10 innonda la stanza. Dev'essere da mo' che Paola è al congresso; trovo un suo biglietto di auguri per la giornata. Mi catapulto giù nel sotterraneo (dei due ascensori, uno solo porta al piano zero e non c'è scala di servizio - come la mettiamo con la sicurezza?) e, in effetti, sono solo nel salone. Il menu è il medesimo di quello del bar.
4 Lukashevskogo Uliza è, a saperla trovare, non lontana dall'albergo e ospita un Internet café. 100 rubli per un'ora e ho le notizie da Monza. Avrei voluto vedere di persona Alonso che rompe finalmente la macchina, ma non mi è stato dato.
Cambiare 1000 rubli in banca è stato istruttivo. Non capivo quale fosse lo sportello giusto e ho chiesto a tutti, finché un'impiegata, forse impietosita o forse infastidita dal cliente petulante, risponde con cortesia al mio inglese e mi manda a quello che scoprirò essere lo sportello del cambiavalute. Ma non voglio cambiare i miei preziosi rubli né con euro né con dollari. Alla fine capisce e, fulminandomi con lo sguardo, mi dà 10 biglietti da 100. Posso averne, ora, 100 cambiati in biglietti da 10? Sa, è per il bus... Pare di no.
Pranzo all'albergo con i conventuali e faccio conoscenza con il resto degli "stranieri", tra i quali sono incorporati i traduttori ufficiali non locali: Irina, naturalmente, dall'aria fatale e imbronciata (devo capire questo mistero) ed Eric Azgaldov, un bel vecchio in pensione e plurilingue e, come Lena, di origini armene, tutti rigorosamente alla medesima tavola, non si sa mai. Sono simpatici, soprattutto Claudia Lux dell'IFLA, che non sembra neanche un Presidente tanto è affabile e disponibile (in Italia siamo abituati diversamente).
Approfitto per chiedere cose che mi interessano e completiamo l'amicizia al bar. Fra un bicchierone di vino rosso (suo) e un bicchierino di vodka (mio) mi informa delle commissioni che trattano della certificazione delle competenze professionali, processo che AIDA sta per lanciare anche in Italia secondo il modello europeo CERTIDoc (e ho detto tutto!).
Al convegno, Lena mi assicura che il museo è ben dotato e multilingue e vado fiducioso. È invece minuscolo e nessuno sa parlare altro che il russo né ci sono scritte in inglese alle vetrine. Ai vulcani, che sono l'essenza della regione e che grazie a loro è diventata nel 1996 patrimonio UNESCO dell'umanità, è dedicato un solo pannello. Il resto è su flora e fauna. Uccelli impagliati, orsi e granchi giganteschi. E storia delle esplorazioni. Poi, tutta una sezione sugli aborigeni paleosiberiani, antenati degli Amerindi e imparentati con gli Inuit (quelli dell'Esquimia...) e oggi pressoché scomparsi. Coriachi, Kamciadali e Itelmeni sono ridotti più a nord, e mantengono, in poche migliaia, qualche tradizione, e non solo per i turisti che vogliono fotografare le danze sciamaniche, come se fosse cosa per loro. Le ricostruzioni sono accurate e imparo, in immagini, a costruire tende, scuoiare animali, battere il tamburo e pescare questi salmoni che sembrano balene.
La sera, solita cena al tavolo degli esteri dove incontro i reduci dal convegno. Questa cucina della Kamchatka è buona, tutta a base di pesce (e che pesce!) ma saporita e leggera e raffinata. Un brodettino di pesce che si chiama ovviamente Ukha ha molto successo. È più chiaro ed elaborato dell'Ukha comune con l'uovo, e che piaceva tanto a Ivan il Terribile che vi faceva aggiungere anche carne e funghi. Ma, si sa, era Terribile!
Ukha della Kamchatka. Prendi un quarto di salmone pulito, un quarto di filetti di salmone spellati e mezzo chilo di rigaglie di salmone (testa, coda, pinne, ossa) - viene meglio se le qualità dei salmoni sono diverse; magari si può variare, da noi, con la trota salmonata o con l'aringa fresca, ma chissà? - , cipolla, 4 carote, radice di pastinaca (la "patata del popolo" prima di Colombo - se non è disponibile, prova con il sedano rapa), 3 patate, scalogno e aneto tritati fini e prezzemolo tritato grosso, nonché bouquet garni in sacchetto di tela, composto da prezzemolo, aneto, alloro, grani di pepe nero. E ancora vodka, pepe macinato, sale e fette di limone per decorazione.
Metti in pentola 6 tazze d'acqua, il quarto di salmone pulito, la cipolla, la carota più grossa tagliata in quarti, la pastinaca, il bouquet garni con sale e pepe. Fa' bollire schiumando finché necessario e poi copri riducendo la fiamma per ancora una mezz'ora. Passa al setaccio il tutto estraendone più liquido che puoi. Rimetti al fuoco il liquido estratto aggiungendo le rigaglie di salmone, la vodka, le patate e le altre carote tagliate fini. Al primo bollore riduci la fiamma a prosegui per quasi mezz'ora finché le verdure non sono tenere. Estrai il pesce e riponilo, getta le rigaglie e tutto il resto ma trattieni le patate e le carote che poni da parte e risciacqui. Rimetti a fuoco dolce per qualche minuto, poi cola il tutto perché il brodo sia composto solo d'acqua. Aggiungi i filetti di salmone e fa' cuocere a media fiamma per pochi minuti. Intanto taglia a pezzetti le patate e taglia finemente i quarti di carota. Prepara 6 o 7 tazze da brodo nelle quali ripartisci i filetti, le patate, le carote e il brodo. Mescola e aggiungi scalogno, aneto e prezzemolo. Guarnisci con le fette di limone.


Lunedì 11 settembre 2006. Apertura calda e umida

Primo passo è la colazione. Gli altri convegnicoli non sono anora arrivati tutti e la colazione si fa obbligatoriamente al bar dell'albergo. Le ragazze che servono al bar, poco più che adolescenti, portano microgonne sopra gambe lunghe, ma non sorridono né esprimono il minimo movimento facciale. Si scoprirà poi che dev'essere una costante russa, finché non ti riconoscono; da allora in poi, i sorrisi (provocati, cioè devi sempre sorridere tu per primo, o fare un amichevole cenno di saluto con la mano) arrivano; non solo: hanno anche imparato che fumo e mi portano spontaneamente un portacenere. Spassiba. Che si mangia? Piattino di default con tre fette di salame e due di formaggio e un altro default con tre cakes all'uvetta, poi la scelta: prendiamo kefir, omelette, chai e caffè. Nel menu c'è la scelta fra caffè ed espresso, ma questo non è che la medesima cosa del primo però in una tazza appena più piccola.
Ecco come fare un espresso alla russa: versa il macinato nella pistola della Faema, non lo pressare per l'amor di dio, incastralo nella macchina e avvia il processo, poi va' a fare dell'altro e torna appena prima che il caffè fuoriesca dalla tazza. A questo punto diluiscilo ancora un po' ponendo la tazza sotto il getto del vapore; così, tra l'altro, ne ricavi anche una bella schiumetta che fa tanto espresso italiano ma dalla quale nessuna Venere potrebbe mai nascere.
Si torna in città, ormai conosciamo le linee giuste. Ancora la piazza del Lenin con il cappotto svolazzante: è, in effetti, questo il centro della città, tutto il resto della città (estesa per 12 chilometri) non è che un aggregato di periferie. La memoria torna automaticamente al Borghetto Prenestino o, al più, al Tiburtino Terzo pre-restauro. Comunque, il centro c'è ed è di fronte al mare, con un laghetto costiero e il porto dappertutto; solo che il "centro" non è nato, come quasi dappertutto in Europa, per crescita di abitazioni intorno alla piazza del mercato/chiesa. Qui ci sono solo edifici pubblici: il governo, il teatro, l'ospedale, il partito, per cui l'effetto è straniante. Dovrebbe essere così anche Brasilia, per quanto visto nelle foto.
E riprendiamo il giro su per la collina, interrotto ieri. Prima però mi faccio fotografare mentre tocco l'oceano: adesso, con il Pacifico, ho toccato davvero tutti i mari. La collina Nikolkaskaja è, come detto, verdissima e puntellata di cimeli della guerra di Crimea. Sì, le navi inglesi e francesi sono arrivate, chissà perché, fin qui durante la guerra del 1854-56 e la guarnigione locale ha difeso eroicamente la città e la Kamachatka tutta senza nemmeno sapere di essere in guerra con inglesi e francesi... La passeggiata prosegue sulla collina che sovrasta il mare, donde si gode un panorama di eccezionale bellezza, con sempre la mole del Viluchinski in lontananza.
Domani sarò a spasso da solo perché non partecipo ai lavori del convegno, per cui cerchiamo di identificare il museo dove immagino di trascorrere qualche ora a conoscere cultura e territorio della penisola (ma i kamchakiani parlano del resto della Russia chiamandola "il continente": dunque, ritengono di trovarsi su un'isola, e non hanno torto, visto che la Kamchatka è così diversa dal resto).
Alle 19 è prevista la cerimonia d'apertura del convegno, con personalità locali (sindaco, assessore) e nazionali del settore. Perché due autobus fermi davanti all'albergo? Dove si fa questa cerimonia? Possibile che sia tanto lontano se la sede del convegno è a due passi girato l'albergo? La risposta è di quelle che ti fanno innamorare ancor più di questo mondo: si va a Paratunka, luogo di terme d'acqua calda: portatevi il costume e l'asciugamano, mi raccomando! E così, partiamo scortati dalla polizia...
Questa della scorta della polizia è la caratteristica che accompagnerà tutti i nostri spostamenti ufficiali: un po' (dicono) per avere sempre strada libera, un po' per controllare che gli autisti rispettino i limiti di velocità, o che non sbaglino strada (?) e un po' perché siamo, in qualche modo, dei vip che meritano protezione... sarà, ma la cosa fa rimanere perplessi.
Ed eccoci alle terme, ora di proprietà di una delle tante banche sorte come funghi nell'era di Eltsin. Tavola imbandita di aringhe, salmoni, caviali, tartine varie e dolci e brandy e vodka a volontà. Discorsi ufficiali e assaggi plurimi. Poi, tutti via a fare il bagno nelle vasche calde. Siamo quasi tutti di mezz'età e lo spettavolo non è proprio entusiamente. L'unica che meritasse il bikini era Irina ma non ne vuole sapere di fare il bagno, forse anche perché si porta dietro una bella tosse catarrosa (che aggiunge fascino bohémien al suo eterno broncio): per farsi perdonare, prende le nostre macchine e ci fotografa mentre siamo a mollo. Poi si torna nel salore a completare il buffet, al quale sono serviti adesso anche shashlick fumanti con salsine tra cui una senape che fa impallidire quella di Digione. Sono tentato di rubare una delle poche bottiglie di vodka non aperte, per la scorta domestica ma Paola mi minaccia con gli occhi. Pazienza, non facciamoci riconoscere ma ricordiamocela al duty free del ritorno (Russian Standard, molto buona, ma ho testato che anche la Parliament non è da meno - devono essere marche nuove: la mia cultura si limitava a Moskovskaya e Stolichnaya, a parte quella finlandese che ho studiato a Pietroburgo).
La seconda notte è più difficle della prima: il jet lag ci sveglia nel cuore della notte e si arriva al mattino con gli ochhi arrossati. Ci aiuta anche a restare svegli un ubriaco che sta girando per l'albergo bussando vigorosamente a tutte le porte nel cuore della notte in cerca di alcool; da domani di lui non ci sarà più traccia e da domani, in compenso, tutte le sere ci sarà un poliziotto nella hall...