domenica, settembre 25, 2016

Vasilij Doboj

Vasilij Doboj
Bujeu-Brian d’Araxe


Erano appena suonati novanta rintocchi. Parenti, discendenti, amici e colleghi erano intorno per la festa che presiedevo sulla poltrona padronale. Tenevo in grembo la mia bambolina preferita dai boccoli d’oro. Il brusio saliva dalla sala fin verso le volte affrescate; una pretenziosità, come tutta la magione, voluta da mio padre, fissato con un Rococò del tutto estemporaneo e, secondo me, fuori luogo in quest’angolo del Brasile. Diceva che gli ricordava San Pietroburgo dove aveva speso la giovinezza. Sarà (San Pietroburgo è più bella); ma quel tempo e quei luoghi sono trascorsi per noi e non credo negli spasimi della nostalgia, come l’ansia (che sa di morte) di farsi circoscrivere in uno spazio che pretende di annullare o riavvolgere la Storia, non diversamente dai collezionisti... La Storia rientra ogni attimo dalla finestra e ogni attimo ci trascina fuori, nel mondo attuale. Così, anche se è bello il Rococò, è meglio che se ne stia nel suo tempo; quello nostro vuole altro ed è giusto che lo viviamo in sua simbiosi, bene o male che sia, perché siamo vivi adesso, non tre secoli fa.
    Ma quella sera la cosa era diversa e qualcosa bisognava concedere. Quasi tutta la compagnia era composta da esuli russi e gli indigeni presenti ne erano discendenti, incrociati, inevitabilmente, con materiale umano locale. Ne derivavano caratteri misti, molto belli, nei quali le basi vichinga e mongola s’intrecciavano con quelle europea e africana: una meraviglia genetica, non solo nel corpo ma anche nello spirito e nella cultura. Sono sempre stato favorevole al meticciato che innalza la qualità umana ed è coerente con la Storia degli ultimi cinquantamila anni, a dir poco.
E quella sera la cosa era  diversa in modo inevitabile. Erano inevitabili le balalaiche e i violini, inevitabili le montagne di asietra, beluga e sevruga, inevitabile lo champagne rigorosamente armeno, così come ettolitri di kvas e di vodka del Caucaso, insieme con quelle zuppe troppo acide e quei dolci troppo dolci che non ho mai sopportato, e così via con tutto il folclore da cartolina. Ma capisco che servisse a tener viva l’identità nazionale di chi si sentiva, dopo tanti anni, ancora straniero... Contenti loro... Glielo concedevo, ogni dieci anni.
    «Non ci avete mai raccontato, Eccellenza, della vostra giovinezza...», disse un giovane e solerte funzionario il cui merito assoluto consisteva in una moglie così avvenente che non potei esimermi dal farmi e strafarmi spesso e volentieri. In realtà, non c’era femmina, in quel consesso, che non avessi assaggiato, mogli, figlie, nipoti, amanti e fidanzate... Piace al dipendente e al collaboratore che il padrone manifesti interesse per la famiglia perché, hai visto mai... Così, me le proponevano essi stessi e facevo man bassa di un harem gratuito, variegato, sempre fresco e rinnovato e sempre disponibile.
«Non c’è nulla, mio caro, da raccontare - mi schernii - una giovinezza come tante, forse irresponsabile e scioperata ma non diversa dalle vostre».
«Non dite di no, Eccellenza. Sarebbe istruttivo per le nuove generazioni e anche per quelle di noi più anziane, cui spesso piace rifugiarsi nel ricordo o fantasticare sui ricordi altrui... E poi, qual miglior suggello per i novanta rintocchi, che ripercorrere a nostro beneficio i passi fondamentali compiuti?».
Li guardai tutti e uno a uno. Tutti devoti e fedeli in attesa della morte del padrone, com’è giusto che sia. Ma sapete com’è: ciascuno si sente immortale finché la nera falce non ci spicca il cranio dal collo. Quanto a me, alla mia età ero ancora ben forte e vigoroso... Poiché bisogna, a volte, essere magnanimi ma a volte esser duri, accettai ma alle mie condizioni, perché ricordassero chi era il padrone e chi, invece, non lo era... «Capisco - dissi - volete un auto-panegirico. Ebbene, non vi deluderò, ma dirò solo della pornografia della mia vita, cominciando dall’inizio. Pornografia, perché è quello che meritate e ciò nel quale siete sempre vissuti e ciò che meglio capite. Puri oggetti, vi manca la circolarità del desiderio, quella che innesca la poesia. Sull’amore non so dire, non lo conosco e, be’, lo giudico un po’ di più - o un po’ di meno - di una pernacchia... Quanto al resto che non vi dirò, è segreto commerciale. Ma vi avviso: il sesso si fa, non si racconta perché, a differenza del sesso, la pornografia è solo un’idea - come dire: è meglio l’oro o l’idea dell’oro? -  e come tale non serve a niente. Così, la regalo a voi che l’oro lo sognate perché non lo possedete. Chi non vuole, non ascolti».
Ciò detto, cominciai, tra la compunta attenzione generale.

Dicevano che la nonna fosse una irresistibile super gnocca baltica, ma proprio super e proprio gnocca e del tutto irresistibile, forse di origine livonica, forse svedese, non si sa. Sappiamo solo che, piovuta a Riga nemmeno quindicenne, non si sa da dove né come, fu, per carità cristiana e per preservarla da qualche brutta fine (così giovane e così gnocca com’era), adottata come mascotte dal reggimento e che, per riconoscenza, se li fece tutti quei boriosi ufficiali e quei vigorosi cadetti, ma proprio tutti, in ordine gerarchico naturalmente, per rispetto dell’autorità - e che fu così che conobbe il nonno, al quale fu assegnata come attendente per un credito di gioco, e che all’epoca era poco più di un soldatino forte e ingenuo ma di nobilissima famiglia e destinato a una brillante carriera. Gli si dedicò con passione e servizio assiduo e impeccabile giorno e notte, fino a stravolgergli l’anima e il corpo con il suo pelo biondo e la sua sapienza baltica, finché questi la sposò. Pare che il bisnonno, che si fregiava del titolo di principe imperiale, non fosse troppo d’accordo ma che ci pensasse ella a convincerlo con validi e, appunto, irresistibili argomenti. All’epoca, la regione era russa da più di duecento anni e mio nonno, da grande idealista alla Tolstoj, serviva fedelmente, oltre che la nonna, anche lo zar fino a morire come uno stupido eroe, combattendo con i Bianchi - e lo zar era già morto.. Vista la situazione ballerina, dopo la Rivoluzione mio padre fece man bassa anche di ciò che non era suo e ci caricò tutti su una nave per São Paulo, dove sbarcammo dopo un viaggio lungo e avventuroso e dove ci arricchimmo ancor più sfruttando fino all’osso la manodopera disponibile, secondo la feroce tradizione locale. Grazie, Ottobre Rosso!
Mio padre era un fanatico dell’Opera ma, soprattutto, delle cantanti. Diceva che solo loro lo sapessero succhiare veramente bene. Pare che faccia bene alla statica e alla meccanica delle corde vocali ricevere irrigazioni giornaliere di sperma caldo e denso e, in più, tenere il buco del culo sempre ben dilatato - per l’aerazione interna, dicono. Non so se sia vero ma fu dietro il palcoscenico del Municipal, dove avevamo libero accesso, che una vecchia soprano me lo succhiò a morte per la prima volta fra un atto e l’altro della Traviata mentre mio padre la inculava con la dedizione per il belcanto che gli era propria. Vecchia lo dico io, in rapporto alla mia età: non avevo che undici anni ed ella forse nemmeno trenta... ma da allora mi sono piaciute le attempate o, comunque, quelle più anziane di me. Solo ora, che sono io a esser vecchio, mi cibo di ragazzine perché, alla mia età, c’è bisogno di carne fresca, sempre più fresca... Con mia madre, invece, era tutta un’altra cultura e tutt’altro impegno sociale; frequentavamo artisti sconosciuti e squattrinati: musicisti, poeti e pittori, maschi e femmine (poche), che lei manteneva e si faceva anche tre o quattro o cinque per volta e io ero lì. Guardavo, facevo tesoro degli insegnamenti della vita e qualche volta partecipavo. E imparavo anche, così, ad apprezzare l’arte, la letteratura... Una giovinezza colta e felice.
    Venne il momento dell’università e fui mandato a studiar Diritto a Belo Horizonte nell’ateneo aperto da poco, perché mio padre manteneva interessi minerari nel Sudeste e potevo esser utile; fu perciò colà che mi misi a cercar casa. Potevo, in realtà, permettermi abitazioni di lusso e con servitori ma quel che veramente cercavo era una padrona di casa che me lo attizzasse, anche solo con l’immaginazione, ché al resto avrei provveduto comunque. Ero giovane, bello, vigoroso e pieno di soldi... e abituato a svuotare le palle più volte al giorno. Il corpo delle femmine, poi, mi faceva impazzire anche solo a guardarle, anche solo a pensarci. Quel profumo, quella morbidezza, quelle rotondità, tutti quei buchi... reali e virtuali che nessun maschio potrà mai dare nel medesimo modo. Alla fine, gira e rigira, la trovai.
    Era una villetta solitaria presso il lago, con un giardinetto curato e alberato tutto intorno, e un’aria di legno antico, brunito, dalla veranda rialzata su su fino al tetto spiovente, come non era usuale da quelle parti. Mi piacque sùbito la sua aria curata, distinta, da buona borghesia forse non più ricca ma ancora dignitosa. Ne faceva fede il cartello ben descritto con svolazzi a stampa esposto dietro il vetro:
ALUGUEL DE SALA.
Suonai. Aprì. Avrà avuto almeno sessant’anni, non bella ma ben conservata e, a modo suo (e a modo mio) dotata di un certo fascino selvaggio ma composto, attrattivo. La pelle liscia di poche rughe, naso adunco da sparviero (di quelli che ti s’affacciano per bene nel culo), occhi neri intensi e orientaleggianti (un accenno discreto di quella plica mongolica che mi ha sempre fatto sborrare) e quello sguardo... insieme perfido e promettente... ricordate le occhiate di Jane Russell in Gli uomini preferiscono le bionde? Sì? Proprio quelle! - con un trucco leggero, armonico al resto dell’età e della figura. Una gran vecchia gnocca di classe. Un caschetto corto, che i francesi dicono carré à la garçonne e, chi conosce il tipo, alla Louise Brooks, nero tinto ma non volgare. Ciò che sopra tutto appariva era, però, il petto, evidente, non strabordante ma alto e improbabilmente sodo a quell’età (all’epoca, non era ancora di moda rifarsi, tirarsi e spianarsi come adesso in Brasile!), che riempiva orgoglioso di sé la camicetta bianca a jabot, aperta quel che bastava senza volgarità. Gonna lunga, stretta, scura con un filetto bordò le fasciava i fianchi arcuati ma non non eccessivi. Snella con tette, insomma, il caso migliore. Mi squadrò curiosa da capo a piedi per poi sorridere appena rivelando fra le labbra sottili, appena tracciate di rosa pallido, una dentatura un po’ cavallina, ornata da un paio di capsule d’oro e appena aggettata sul davanti - il minimo, direi, visto quel discreto prognatismo che l’adornava e che prometteva di poterlo ingoiare tutto per lungo fino alla radice. «Stavo per prepararmi del tè - disse - ne volete?» e si voltò verso l’interno a esibire quel che ardevo di conoscere: un culo tondo e prominente, da affondarci le unghie e i denti.
Sedemmo sul divano tappezzato in raso di seta vecchio ma ben tenuto - come lei, insomma - a sorseggiare da porcellane cinesi molto fini. Lo spazio era poco e sentivo premere sulla mia il calore della sua coscia soda e il duro seno che mi aderì al braccio nel porgermi la tazza e tanto poco bastò per farmi reagire nei pantaloni. Fissò distrattamente il vuoto e intravidi una punta di linguetta far rapido capolino fra le labbra sorridenti e che sùbito scomparve. Posò la tazza e chiese se volevo visitare la camera e: «faccio strada» stabilì, precedendomi sulle scale di legno.
Quel culo mi oscillava davanti e saliva lento e sinuoso per farsi ben notare. Non so per quanti scalini ma per un’eternità di onde che avrei voluto non finissero mai. Si fermò in cima e aprì una porta fermandosi sull’uscio, la schiena dritta e le tette protese a bloccare il passaggio. «Spero - invitò - che quel che vedete vi aggrada». Mi appiccicai dietro per farglielo sentire che si strusciava e morderle la nuca mentre strinsi forte una chiappa. Non fece una piega appoggiandosi allo stipite, immobile a occhi chiusi in attesa del resto. Allora strinsi per bene l’arroganza di quel seno e le ficcai la lingua in bocca. Sapeva di bergamotto appena corretto al sapore del tè. Tenendola arpionata di bocca tetta e culo, la rovesciai sul letto e, per evitare che ci ripensasse, le sollevai sùbito la gonna fino alle mutande che scostai di lato donde proruppe un bel pelo nero qua e là appena screziato di grigio ma molto folto e riccio che sapeva anch’esso di bergamotto (ma senza la correzione del tè...) dove affondai la lingua e bevvi bevvi leccando e succhiando finché sentii che stava già venendo di lingua. Mi schiacciava la testa fra le cosce muscolose e mi teneva inchiodate le spalle sotto le ginocchia, i piedi incrociati sulla schiena per non farmi perdere la presa. La vecchia troia la sapeva ben lunga. Mi ero intanto aperto i calzoni e anche se già bello duro me lo menai ancora un po’ per rafforzarlo di più. Mi sollevai quanto bastava per strofinarglielo sulle labbra di fica che avevo ben bagnato (con le vecchie non si sa mai che non siano troppo secche - non era questo il caso) e con un colpo secco lo ficcai dentro. Ah, che delizia. Chissà da quanto era già pronta all’uso. Cominciò ad agitare i fianchi e sollevare il culo con le gambe in verticale prendendo insieme un unico ritmo forsennato sul letto cigolante allo spasimo. Credo che ci sentissero da lontano. Ogni tanto mi fermavo, fingendo di volerlo estrarre lentamente oh molto lentamente per costringerla a seguirmi con il corpo per terrore che lo levassi. Una pausa e poi un colpo secco a sorpresa quando meno ormai se lo aspettava e giù dentro tutto fino in fondo a farla gridare e il ritmo riprendeva veloce e il letto ci seguiva a cigolare ghi ghi e ghi ghi ed ella ah-ah-ah-ah sempre più veloci finché venne venni venimmo insieme e ci accasciammo l’uno sull’altro e dentro l’altro non potendone proprio più.
Le passai più volte una mano sulle cosce dove scorreva il mio sperma e glielo misi in bocca con le dita. Succhiava golosa e si leccava le labbra con la lingua, gli occhi fissi nei miei. Le piaceva proprio la sborra. Poi mi si accasciò davanti e lo ripulì ben bene, le tette fuori ad asciugarlo con una lunga e lenta spagnola. Se lo passava poi sulla faccia, gli occhi, le guance, sotto il naso e il mento come in adorazione e ancora in bocca e ancora fra le tette belle gonfie e sode e tonde come aveva il culo. Era evidente che lo rivolesse e la rivolevo anch’io. Per cui ci spogliammo del tutto e la girai a pancia giù - signori miei, neanche una goccia di cellulite su quella pelle tonica e liscia come una bambola di seta! Privilegi dell’età... Mi disse poi che faceva molta ginnastica... di culo, sicuramente! Così, glielo appizzai e impastai cominciando la preparazione. Un dito, due diti, tre, quattro, un po’ di lingua mentre la troia gemeva e mugolava in attesa che glielo sfondassi. E alla fine, eccolo dentro in tutto il suo splendore! Quel culo era una favola e proprio della mia misura. Strizzavo quelle chiappe come spugne e ci davo dentro fino alle palle. Quel culo sembrava non finir mai e mi veniva incontro assecondando il movimento. Ero venuto da poco, per cui potevo durare ben più a lungo e andammo avanti per un bel po’ col solito letto che gridava il suo piacere o forse, chissà?, il suo tormento per essere così sbattuto...
Presi la stanza, naturalmente, ma non dormii mai nel lettino singolo. La notte ci davamo dentro sul gran letto in camera sua e la mattina mi si impalava sopra ella stessa, approfittando del cazzo acquifero del risveglio mentre strizzavo le gran tette e di giorno, poi, quando tornavo dalle lezioni, era già bella pronta a culo appizzato e senza mutande e che pompini, signori miei, in quella gola golosa e infinita! Aveva il gusto del cazzo. Per il resto, me ne pascevo abbondantemente a onta dell’età, distesa languida come le dune del deserto, centimetro dopo centimetro e così faceva ella di me. Una forma di cannibalismo, se volete, o di fase orale dell’infante che porta alla bocca, per conoscerli, tutti gli oggetti del mondo. Mi piaci tanto che ti mangerei...
Ho sempre amato il seno, forse per impossibile memoria delle mammelle di mia madre, troppo piccolo per ricordarne, se non negli abissi del mio inconscio. L’ho amato così com’era, donna per donna, non come una propaggine autonoma da feticista, come dotato di vita propria, ma come un elemento strutturale, una frazione essenziale per la statica e la dinamica di qualsiasi architettura, come avviene per la base di una colonna o un capitello fiorito che dànno senso e vigore all’insieme. Non era il seno il vero interesse ma la femmina tutta intera e il seno una delle componenti essenziali cha davano, tutte insieme, il senso del tutto. Ciò che ci fa distinguere il genere al primo sguardo, più dei capelli, delle labbra, degli occhi e le oscillazioni dei fianchi, gonna o non gonna...
Così, non c’erano, oggettivamente, bei seni né brutti, ma rientrava ciascuno nell’armonia dell’insieme e non c’era disarmonia in nessun corpo, mai, perché tutto era funzionale all’equilibrio generale, come lo sono le pause nello scorrere delle note perché non c’è musica senza silenzio, dentro e all’intorno. E allora, signori miei, erano belli quelli grandi perché tali e adatti a colei che se ne adornava e perché in quel corpo andava bene così. Né cambiava il risultato per quelli piccoli, per quelli sodi e arroganti come un guerriero, quelli lunghi, flaccidi, piatti e bassi o quelli appena nascenti, adolescenziali, che inteneriscono come germogli, così come per quelli alti e distanti e perfino quelli giganteschi e irreali, posticci, esagerati e falsi come Giuda - com’è oggi di gran moda... Tutto adatto alla loro portatrice, e perfetto perché ogni corpo lo è. Come ogni donna lo è: esseri perfetti. Potrei identicamente dire di altro come degli occhi, i sederi o le labbra, ma il seno ha una marcia in più, e questa è, signori miei, i signor il capezzolo, il suo coronamento, ciò che dà il senso, il senso finale, epistemologico, direi. Quello che le cretesi, che la sapevano lunga, evidenziavano con il rossetto... Sì, il capezzolo è l’epistemologia del seno. Senza di esso, non è che un’anonima rotondità... Non a caso la famosa decenza, che oggi consente l’esponibilità, è assolutamente contraria a quella del capezzolo che non va mai rivelato se non all’amante in luoghi segreti e densi d’emozione, perché è simbolo del dono di sé!
Insomma, quelle tette erano morbide e sode insieme sotto le mie mani e la mia bocca, o era ella stessa a strusciarmi lentamente quei capezzoloni eretti come piccoli cazzi su tutta la pelle, all’infinito, e me ne pascevo e mi ci affondavo e in esse mi perdevo e viaggiavo di collina in collina e mi facevo piccolo e minuscolo, quasi infinitesimo di fronte a quelle superbe maestà - un sogno di tutti gli uomini...
Né le chiappe erano da meno e non ho mai leccato un buco del culo con più piacere - sapeva di bergamotto anche lì! L’impastavo a lungo senza tregua finché veniva solo per virtù di massaggio e di punta di lingua che solleticava la pelle dappertutto ma soprattutto dove sapevo che era più sensibile.
Con me la gran donna usava a preferenza le unghie, fini e a sesto acuto come ogive gotiche appena attondate ma quanto bastava a scarificarmi leggera la pelle con brividi che partivano dalle dita dei piedi e finivano per esplodermi alla nuca. O quei dentini un po’ cavallini che mordevano ad arte senza far male... Se lo infilava anche tutto in gola per il lungo e cominciava a salire con i denti dalla radice alla cappella come se volesse mangiarlo, raschiando, mordicchiando finché le esplodevo dentro come un vulcano. Sapeva come controllare la risalita del mio piacere, rallentandola ad arte affinché l’esplosione fosse inevitabile e quasi dolorosa come il big bang che creò il mondo... Una tecnica che sapevo usare anch’io perché non c’è solo la penetrazione, signori miei, che ci ripaga, ma c’è tutto il contorno che, a saperci fare, diventa sostanza e piatto forte! Ed era un peccato che non avesse più mestruazioni, perché bere quel sangue scuro e ricco di vita mi mandava sempre in estasi...
Comprai uno dei primi televisori e la sera ci si faceva placidamente e con lentezza sul divano di seta illuminati solo da quella tenue luce grigio azzurra finché capitava di addormentarsi al potere ipnotico dello schermo e stremati dalle lunghe pratiche sempre nuove e acrobatiche. Disponeva di fantasie che non ho mai riscontrato in altre femmine sì che potevo metterlo e strusciarlo in ogni anfratto e piega di quel corpo esperto e strausato ma tuttavia scattante e giovanile per amor di cazzo. Anche il pranzo diventava un pretesto erotico: bocconcini infilati qua e là l’un l’altra con le dita che penetravano insinuandosi negli anfratti e imbrattavano di sugo denso e appiccicoso da leccare e straleccare. Ci si lavava poi a lungo in una gran vasca da bagno che feci costruire appositamente, nella quale poterci stare anche in piedi, alla giapponese, e sbatterci poi contro le pareti nella carezza gorgogliante dell’acqua tiepida e saponosa...
Il sesso le piaceva proprio. Era la sua passione da sempre. «Eravamo tanti in famiglia - raccontò - poche femmine e molti maschi, per cui credo di non essere mai stata vergine. Me li facevo tutti, ma proprio tutti: babbo, nonni, zii, fratelli e cugini; e poi un miscuglio di madri, zie, sorelle che non ti dico, tutti a farsi tutti appena possibile in tutti i modi. Vivevamo in campagna, isolati e nessuno ci disturbava, nel paganesimo più assoluto - nostri dèi erano le piante, gli animali, le sorgenti, le rocce e il cielo; e fra i campi e nella stalla e nel fienile e nel lago e sugli alberi e sui tavoli e a letto e sulle sedie e per terra c’era sempre qualcuno infoiato - e io non ero da meno. Una specie di repubblica autonoma centrata sul piacere, che fu la mia prima scuola, appassionante. Poi, a quell’altra, divenni sùbito famosa tra i compagni e gli insegnanti. Quanti ne ho menato, succhiato, prosciugato, in classe e fuori, negli angoli di corridoio, nei gabinetti o nello stretto sgabuzzino delle scope dove il vecchio bidello mi prendeva finché ne avevamo voglia! Senza chiedere mai nulla in cambio! Ma chi veramente aveva una passione per me era il signor preside. Mi chiamava spesso nel suo ufficio a farselo succhiare nascosta sotto la scrivania mentre con sussiego e competenza professionale riceveva gli ispettori del ministero... oppure voleva che gli avanzassi davanti a passo di danza strizzandomi le tette, la gonna sollevata il bacino proteso e la fica ben in vista perché quel porco se ne venisse da solo nei pantaloni! Allora si buttava per terra e restava lì come morto finché gli strofinavo il culo sulla faccia e con un filo di voce chiedeva che gli pisciassi in bocca... un vero porco come non ne ho mai conosciuto. Intanto, mi crescevano le tette belle grosse e turgide con i capezzoli dritti come proiettili - avrò avuto quindici anni ma ero già ben procace e sviluppata... - e ci diedi dentro anche con quelle. Il corpo, a usarlo, si tonifica».
Già che era in vena di confidenze, rivelò poi le emozioni che sentì al nostro primo incontro.
«Sai, caro, quando ti ho visto sull’uscio, non volevo credere ai miei occhi e il cuore mi scoppiò nel petto. Eri l’immagine del poeta baiano che amai quando avevo dieci anni... bello come te, con questi capelli fluenti e i baffetti malandrini... Sedeva nel bosco su un tronco caduto, scriveva, chissà come ci fosse piovuto... certamente dal cielo. Mi gli fermai di fronte immobile incantata finché alzò lo sguardo e mi invitò sulle ginocchia. Ci baciammo appena a labbra strette e m’insegnò la poesia... i metri, i ritmi, le rime... declamava e spiegava; capivo poco ma sentivo musica nelle sue parole. Ricordo ancora qualcosa, che mi faceva sognare fuochi, foreste e soli cadenti...
Às vezes quando o sol nas matas virgens
A fogueira das tardes acendia...
Morì l’anno dopo... e non aveva che ventiquattro anni... l’unico uomo che amai e non andammo mai oltre quello sfiorar di labbra... Quando mi azzannasti in cima alle scale, come un lupo affamato, mi sembrò di far l’amore con lui per la prima e unica volta... e sentii che lo stavo ripagando della bellezza che mi aveva donato... Ma tu sei ben vivo, sei qui e sono felice». Scoprì il seno e me lo porse. «Succhia, succhia, bambino mio, succhiami l’anima...».
Non so. C’era del sentimento fra noi che non saprei definire. Un’attrazione fisica, certamente, come fra due calamite capovolte. Sempre appiccicati, sempre a strusciarci, abbracciarci, ma non solo quello. C’era che avevamo bisogno l’uno dell’altra, che ci cercavamo continuamente e che ciascuno, da solo, senza l’altro, non poteva stare... Che volete che vi dica... eravamo una coppia! Finché durò la mia permanenza, non vidi mai mosconi girarle intorno - né mai, a parte le confessioni iniziali, rivelò lo stato della sua situazione, chiamiamola, sentimentale... Tanto che, a parte le lezioni all’università e qualche incarico business da parte di mio padre, non uscivo quasi di casa perché avevo qui tutto ciò che preferivo: ero diventato uno studente modello e un bravo ragazzo casalingo, senza grilli per la testa... La ricordo con affetto e tenerezza. Che fosse amore per davvero? È questo l’amore? C’era certamente dedizione reciproca e appassionata... Ma non so di più e non voglio saperlo!
Mi chiese un giorno di volerle fare una cortesia. Aveva una nipote un po’ ritardata, nel senso che era stata messa in convento da giovane e, secondo lei, non aveva mai assaggiato il cazzo. Era ora che lo facesse, tanto per capire che si stesse perdendo. Poi, se avesse voluto, poteva benissimo continuare a darla a Dio... anche se, da come guardava le donne, si capiva che con le consorelle si desse abbastanza da fare... «Non è proprio una bellezza, sai - mi disse quasi scusandosi - e ha quell’aria zitellesca... ma, suvvia, bocca e culo e tette e fica ce l’ha come tutte. Dovrebbe arrivare a star qui con me per un po’; una specie di licenza obbligatoria prima di prendere i voti. Ti andrebbe di sbatterla per bene? Vorrei farle una sorpresa... Mi ringrazierà!». Potevo rifiutare?
E venne il giorno della zitella, un pomeriggio d’autunno con le prime piogge e il cielo striato di rosso-oro. Non era poi così male. Portava una bella cascata di capelli castano chiari, folti e naturalmente ondulati fin a metà schiena e che saltava sùbito all’occhio come la cosa più notevole di lei - quel profluvio che avrebbe dovuto tagliare quasi a zero il giorno che si fosse decisa a far la fedele sposa di Dio per sempre. Agli dèi non piacciono i capelli lunghi. Per il resto, era solida e il corpo accuratamente ingolfato in abiti ampi e lunghi ma si capiva che, sotto, c’erano cosce poderose a reggere un culo largo e piatto e s’indovinava un bel paio di tette - forse ampie e molli (non era la zia...) - ma, insomma, poteva dare anch’ella il suo piacere. Una struttura tradizionale e contadina, di quelle fattrici che zappano per ore infaticabili nei campi e trasportano, come fossero fuscelli, sécchi colmi di latte appena munto e fanno buona la minestra e buoni i figli... Mi vide sulla sedia a dondolo a succhiare il fumo del mio sigaro sulla veranda, leggere un libro. Si fermò interdetta, la valigia in mano, non sapendo se proseguire o andarsene, casomai avesse sbagliato indirizzo... Mi alzai, sorrisi e mi inchinai alla militare facendo ampio e lento gesto col braccio invitandola a entrare. In quella uscì la zia che le corse incontro a stringerla in un abbraccio famigliare. Fummo presentati e si tranquillizzò. Scomparvero al piano superiore e non le rividi che all’ora di cena.
Si era cambiata, lavata e profumata. Basse ballerine e un sobrio abito intero a fiorellini stretto da cintura in vita e gonna ampia a plissé lunga a metà polpaccio e il busto strizzato e piatto seppur ampio e ben disegnato sul quale pendeva una croce d’oro a riposare sull’attaccatura dei seni (ti vedo e non ti vedo) - qui c’era sotto il bustino d’ordinanza, pensai, inteso a schiacciare e nascondere più che a prorompere e sottolineare... La zia appariva, invece, più troiesca che mai. Una camicia di pizzo nero tutta abbottonata ma con ampie trasparenze sotto le quali faceva porca figura l’intimo nero a balconcino ben colmo e arrogante e una gonna grigio-perla plissettata anch’essa ma corta ben sopra il ginocchio e scarpe nere al tacco alto e squadrato, quasi da sado-maso (ma non ce la vedevo con lo staffile in mano; per quanto, chissà...). Perle al girocollo e orecchini di perla. Profumo intenso, di magnolia - e un fiore di magnolia fra i capelli! Una vera mineira.
La ragazza non era stupida e reggeva bene la conversazione anche se arrossendo ogni tanto ai miei garbati paradossi e alle risate scomposte della zia. Dopo cena, tutti e tre sul divano stretto a guardare la televisione e sbocconcellare biscottini che sembravano all’anice ma erano segretamente d’assenzio, io in mezzo, pressato dalle cosce di entrambe. Accettò titubante qualche sorso di liquore che le arrossò stabilmente i pomelli delle gote e mi venne inconsciamente più vicino finché si addormentò all’ipnosi dello schermo e a quella dell’alcol insolito, appoggiandomi il capo sulla spalla.
Quei capelli di sogno sapevano di pulito e mi solleticavano il viso, sì che la patta mi si sollevò decisamente. A quell’età mi bastava così poco! Pensò la zia a tirarmelo discretamente fuori e calmarlo sollecita con pochi sapienti colpi di bocca e di mano. Grazie, buona samaritana! Passai il braccio dietro le spalle della ragazza e la trassi ancor più su di me mentre la zia, là sotto, faceva il suo dovere. Ora il viso riposava sul mio petto e affondavo le narici in quelle volute tentatrici mentre con aria sovrappensiero le carezzavo discretamente con un dito i capezzoli sopra il vestito. La zia me lo ingoiava tutto e se lo tenne così, nascosto in quella gola capace e senza fine, la faccia sull’inguine, immobile come se dormisse - ma la lingua lavorava lenta, discreta ed efficace. La ragazza si riscosse e si svegliò appena, stupita di trovarsi così abbracciata a me e veder la zia immobile sulla mia patta. Le feci segno di far silenzio sussurrando: «s’è addormentata» ed ella si addolcì, carezzando amorevolmente il caschetto della zia che, puttanona qual era, si guardò bene dal riscuotersi, continuando a fingere quel sonno suggente del mio cazzo ormai prossimo allo spasimo. Ci guardammo, i visi vicini, sì che azzardai un leggero strofinamento dei nasi. Sorrise al gioco, e non fece caso alla mia carezza che continuava sul seno. «S’è fatto tardi - sussurrai - comincia ad andar tu; io provo a svegliarla pian piano». Non volevo, in realtà, che la zia sollevasse d’improvviso la testa dal mio grembo in sua presenza rivelando così il cazzo ben dritto e pronto a schizzare tutto intorno...
Si alzò barcollando. Tentò appena due passi ma mi crollò miseramente fra le braccia, definitivamente addormentata. Proprio niente male quelle tette. Ah, l’assenzio benedetto! Mi ricomposi e con la zia la sorreggemmo fino in camera, tenendola in due su per le strette scale. Ne approfittai per saggiare per bene quel culo con una mano mentre con l’altra arpionavo con decisione la bella tetta. In camera la tenni in braccio mentre la zia scostava coperte e lenzuolo, poi la deposi sul letto e cominciammo a spogliarla. Mutandine di cotone con fiorellini azzurri. Le scostai appena e diedi qualche veloce colpo di lingua nella fica, tanto per aiutarmi. Poi lo estrassi già ben duro e glielo ficcai in bocca. Poche segate di mano e di su e giù fra le labbra e le sborrai dentro. Finalmente. Chiusi quelle labbruzze a dormire con il mio sapore nel palato. D’istinto masticò appena nel sonno e ingoiò. Il primo passo era fatto. Tutta questa storia mi aveva turbato non poco e quella notte non dormì nessuno sul gran lettone cigolante...
La mattina commentavo con la padrona l’avventura della sera quando ella discese un po’ frastornata ma distesa e serena, con un pizzico, forse, di malizia in più. La chimica dello sperma cominciava, forse, a fare il suo effetto. La gran massa dei capelli le dardeggiava il volto incorniciando un sorriso ambiguo, da Gioconda... Come aveva dormito? Come un sasso, tenuemente rispose. La zia insistette per prendere la colazione nel gazebo cinesizzante sul retro perché la giornata prometteva bene. Capii il suo disegno quando lo vidi, chiuso tranne da un lato da alti roseti ancora fioriti, che ne facevano un nido discreto sotto alberi frondosi e attorniato da un profluvio di fiori profumati e colorati. Un incanto. Non mi ci aveva mai portato perché, immagino, ci facevamo sempre in casa, approfittando selvaggi e forsennati di ogni appoggio e sostegno domestico e quel luogo era adatto più all’amore che al sesso, del che la nostra foia non aveva certo bisogno. Ci lasciò poco dopo, protestando commissioni urgenti in paese. Così, eccoci sulla panca a guardarci gentili e sorridenti tra i fiori e la verzura e a sorseggiare il forte e nero caffè dell’inferno. Mi avvicinai e appoggiando amichevolmente una mano sulla coscia le chiesi se le fosse piaciuto il giochino del bacio fatto iersera con i nasi. Piegò il capo di lato e sorrise di sì. Lo rifacciamo? Ancora sì.
Ed eccoci abbracciati a strofinarci le punte dei nasi, ma quei nasi strofinavano tutto, dalla fronte agli occhi, le gote, in gola, gli orecchi e le labbra finché le dischiuse appena e la baciai. Dimostrò sùbito la sua competenza, acquisita, forse, con le consorelle e ce le attorcigliammo per bene quelle lingue serpentine suggendo le salive al sapore di caffè. Passai al seno dove affondai il viso e strofinai il naso sui capezzoli irti. Si alzò e spontaneamente mi si sedette in grembo di fronte, le cosce aperte a circondarmi il bacino. Chiuse gli occhi e cominciò a strofinarsi la fica sulla mia erezione che sentiva attraverso i vestiti... Hai capito la suorina? La zia, almeno stavolta, aveva peccato di eccessiva ingenuità il che suonava, in lei, come un peccato grave.
La stesi prontamente sul tavolo di pietra per cavarle le mutandine, ma non c’era più la cotonina a fiorellini; anzi, non c’erano mutandine di sorta, ma una bella ficona biondastra e pelosa tutta nuda e già bagnata di suo. Quella ragazza mi stupiva a ogni tratto e cominciava a piacermi sul serio. Lo estrassi bello gonfio agitandoglielo davanti; lo guardò con tenerezza e allargò ancor più le gambe, distendendosi sulla schiena, le braccia allargate a carezzare tutto il tavolo, pronta in attesa. Cominciai per precauzione, casomai fosse vergine, a strofinarlo sulle labbra e appena appena dentro con la cappella, come per preparare l’entrata trionfale ma ella diede un guizzo, lo afferrò a due mani e se lo mise tutto dentro di colpo! Buon sangue non mente: anche qui, come nella zia, la verginità non c’era forse mai stata! La pompavo con coscienza e dedizione, lentamente per durare di più e farglielo sentire un po’ di qua e un po’ di là fra le pareti della vagina, che teneva ben stretta la baldracchina per aumentare la pressione ed ella sempre zitta a prenderselo golosa scuotendosi tutta, un pollice in bocca come una bambina, ma muta di voce, senza quei sospiri e gridolini spontanei che aiutano tanto il lavoro, anche per poter capire il suo livello del piacere - forse in convento usava così, per discrezione e segretezza... Quando giudicai, dopo una buona mezz’ora, che stesse per venire, lo estrassi di colpo, guardandola divertito torcersi sul tavolo, scippata del piacere finale. «Ma che...?», disse e ricadde delusa sul tavolo di pietra. Brava stronzetta, pensai, così impari a imbrogliare. Ma poi, mosso a compassione, la girai sottosopra e glielo ficcai di brutto su per il culo senza preavviso. Mostrò di gradire... e andammo avanti così fino alla fine, io a pompare veloce ed ella a mugolare, stavolta, anzi ben forte e a lingua di fuori. Ma non era mia la vittoria: era sua perché non veniva mai, ne voleva ancora e sempre finché mi accasciai sul culone, del tutto spompato e senza più fiato né risorse. Che trombata, signori miei!
Quando la zia tornò, la misi al corrente di tutto e si fece una grassa risata, in un baluginare di denti d’oro. Prese la nipote per mano e se la portò in camera. Le osservavo nude a torcersi e sdilinguarsi, le reciproche teste fra le gran cosce e forte rumore di liquidi in risucchio. Mi masturbavo non potendo partecipare finché spruzzai quei corpi con una discreta quantità di sborra calda e appiccicosa. E allora si fermarono e presero a leccarsi le schiene l’un l’altra, per raccorgliela tutta e non sprecarne una goccia, come a farsi il bidet del gatto. E allora fui preso per mano per riconoscenza e sdraiato in mezzo alle troione a succhiarmi e segarmi con due lingue, quattro mani e quattro tette. Un servizio completo e molto efficace. Dal profondo delle mie caverne il piacere saliva, montava pian piano come un serbatoio che si riempie man mano. E allora venni e venni senza fine. E allora se ne andarono ridendo e mi abbandonarono tramortito e di traverso sul letto disfatto, senza più succo e completamente svuotato come non mai, leggero l’inguine come una piuma che sarebbe bastato un refolo a farmi fluttuare per la stanza...
«In convento cominciai sùbito, da brava novizia, - raccontò poi - a farmi fare dalle consorelle più grandi ed esperte, a coppie, a triplette e anche di più, nelle anguste celle dove abitavamo, ma la domenica veniva il confessore per la funzione al Signore e ci assolveva tutte e più volte a turno sulle panche della cappella con le vetrate decorate accese del sole del meriggio, tra i fumi degli incensi e delle candele profumate di cera d’api e sotto gli occhi vigili dei santi, guardoni immobili. Era anzianotto ma molto vigoroso e inesauribile, segno, questo, della benevolenza del Signore. In sua assenza - e con cautela per non farci male - usavamo poi di tutto, gli altri giorni, quando la fica urlava la sua fame e volevamo sentir dentro un bel po’ po’ di solido Spirito Santo del quale tanto parlano le Scritture: dalle candele agli asciugamani bagnati e ritorti, alle bottiglie, alle frutte e verdure oscene, ai mattarelli per stendere la pasta, e poi i gomiti, le mani fino ai polsi, anche su per i culi morbidi tonici e profumati e sempre troppo vuoti. Chi pregava più? Chi pensava all’anima e all’eterno? Non ne avevamo il tempo. Era una bella e appagante ossessione carnale... Era il nostro modo di pregare - chi dice che la devozione al Signore non debba dare la felicità? Non è il Cristianesimo la religione dell’amore? Così, pensavo di riposarmi un po’ la fica e il culo, la lingua e le mani con una tranquilla e tiepida vacanza dalla zietta adorata, ma non è andata così - ammise con un bel sorriso - e ora sono incerta se fermarmi a farmi dolcemente ancora sbattere in pace qui con voi sulle rive del placido lago o se tornare al mio dovere sull’aspro campo di battaglia della religione e innalzare alte in coro le dovute lodi al Signore. Ci penserò... Ora come ora, voglio solo dormire», e si ritirò in camera sua.
Ci guardammo e scoppiammo a ridere e ammettemmo che, forse, sì, sarebbe stato proprio il caso di accedere anche noi a una bella e lunga dormita...

«Si è fatto tardi, nonno - interruppe la bambolina preferita dai boccoli d’oro che non s’era persa una parola - andiamo a letto anche noi». Scese dal grembo e mi prese per mano costringendomi ad alzarmi. E ce ne andammo, il vecchio e la bambina, mano nella mano, a sdraiarci strettamente abbracciati e dormire, poi, il sonno dei Giusti.


Roma, 20-23 settembre 2016

venerdì, settembre 09, 2016

Traduzione italiana di: David Horrower, Blackbird, 2004


Traduzione italiana di
David Horrower, Blackbird, 2004
Bujeu-Brian d’Araxe

Una, sulla ventina avanzata. Soprabito, abito, guanti; porta una borsa.
Ray, circa 55 anni. Pantaloni, camicia, cravatta; un telefonino appeso alla cintura.
Una stanza con un tavolino basso, alcune sedie, diversi armadietti. Una porta chiusa. Un secchio per l’immondizia stracolmo. Sul tappeto, intorno alle sedie, molta immondizia, soprattutto contenitori di cibo con molti avanzi ancora visibili. Una finestra oblunga attraverso la quale occasionalmente potranno vedersi passare delle figure.

Una Colpito...
Ray Certo. Sì. Adesso
Pausa
U E...
R Aspetta
Pausa. Va alla porta chiusa e la socchiude
U Eri occupato
R Sì
U Loro...
R Sono sempre occupato. Stavo con uno dei nostri manager. Eravamo nel mezzo di qualcosa. Loro... Così io potrei... Potrei essere mandato... Sarò richiamato. Sono ancora necessario.
U La gente non ha casa propria?
R Casa?
U Fuori...
R Non lo so
U Devo andare. In certe case. Lavorano ancora. È tardi
R Finiremo presto. Andranno via presto. C’è un certo ordine nel ritardo e, naturalmente... ma dobbiamo farlo, non importa quanto in ritardo. Il tempo non conta. Dobbiamo ultimare l’ordine e poi spedirlo. È una giravolta molto veloce
U Se ne vanno a casa quando glie lo dici?
R No, ma posso assicurartelo quando il lavoro sarà finito. Posso esserne certo.
U Ma, che cosa fai veramente qui?
R Dentistica.
U Sarebbe?
R Qualcosa di farmaceutico
U Il nome sull’insegna. Non dirlo. Come una di quelle basse costruzioni che incontri. Sono passata sull’autostrada venendo qui. Costruzioni basse, spesso di un solo piano e tu... tu... Automobili parcheggiate fuori, nessun indizio di ciò che vi accade dentro. Solo un orologio digitale all’esterno che indica la temperatura. È così. Barriera al cancello. Ray comincia a raccogliere un po’ d’immondizia. È questo ciò che mangi?
R No. Non qui. Non io. Gli impiegati
U Non dovrebbero lasciarlo così, il pavimento. Ray ripone l’immondizia nel secchio. È troppo pieno. Ray pressa l’immondizia nel secchio. Dove mangi?
R Tu stai da te?
U Sì. Vuoi dire da sola?
R Sì. Insomma, presso di te
U Sì
R Puoi dirmi perché sei qui? Perché ci sei venuta?
U Hanno preso una pausa? Una pausa dal lavoro? Averne...
R No. Troppo tardi, adesso
U Non ci interromperanno? Non vorrei che arrivasse gente
R Cosa c’è da interrompere? Tu che cosa vuoi? Non ho molto tempo
U Ho visto
R E, onestamente, io...
U Che cosa?
R Io... Io non devo essere qui con te. Capisci, no? Ne sei consapevole? Io non ho l’obbligo di stare qui. Oppure sì?
U No. Hai ragione
R Non sono obbligato ad ascoltare. Non ho niente da dire. E così... in pochi minuti... un paio di minuti e potrai andartene perché sono richiesto indietro. Calpesta un incarto di cibo avanzato, senza accorgersene
U Guarda. Non l’hanno finito, qualcuno l’ha lasciato qui. Dovresti dire qualcosa su questo. Egli lo solleva
R Gli è stato detto. Glie lo si dice sempre. Porta l’incarto al secchio e ce lo mette dentro. Bussano alla porta. Ray va verso la porta e apre uno spiraglio per vedere chi c’è. Esce e si chiude la porta dietro. Una si guarda intorno e si siede. Ray rientra. Chiude la porta ma non completamente - la medesima fessura di prima. Perché non usciamo?
U Dove?
R Fuori di qui. All’aperto
U No
R Il parcheggio oppure...
U Sto bene qui
R Va bene
U Tu mi hai costretto qui
R Io non ti ho costretto
U Favoloso
R Io non ti ho costretto. Io ti ho portato qui.
U Loro immaginano chi io sia?
R Ti hanno vista, certamente. Ne sono sicuro. Loro...
U Mi hai fatto aspettare, Peter. Io stavo qui in piedi
R Che cosa vuoi? Che cosa
U Posso chiudere la porta?
R No
U Puoi chiudere tu la porta?
R La porta rimane aperta
U Perché? Io...
R Non la voglio chiusa
U C’è una corrente d’aria
R Usciamo tra un minuto
U Io sono qui ora. Mi ci hai portato tu
R Penso che sia meglio fuori. Possiamo...
U Chiudi la porta. Egli non si muove. C’è una corrente fredda che entra. Non mi piace. È... Allora la chiudo. Pausa. Si alza, lo guarda, va alla porta. Egli fa un passo davanti a lei. Si ferma. Ella chiude la porta improvvisamente, rumorosamente. La porta è chiusa. Ella guarda dell’immondizia vicino alla porta. La gente che si aspetta che altri pulisca la loro sporcizia. Ho chiesto a un uomo, aveva lasciato cadere una lattina vuota, di birra, e un pacchetto di patatine sul marciapiede. Le ha buttate per terra. Non ci ha pensato, semplicemente le ha fatte cadere. Gli ho detto di tirarle su ee agli si è messo a ridere. Pensava che stessi scherzando. Egli era...
R Vorresti... Egli sbatte gli occhi e se li strofina
U ... con una donna. Ella mi ha dato della strega. Lo difendeva. Egli se la rideva
R Come mi hai trovato?
U In una... Era una foto in una rivista
R Dove? Cosa?
U Qualche...
R Rivista?
U Una rivista di commercio. Promozionale. Una cosa di carta patinata. In una sala d’aspetto di un dottore. Sai di cosa parlo?
R Sì
U C’era una foto sul retro. Tu e un... con un gruppo di persone. Una squadra. Vi chiamavano “una squadra”. Avevate vinto un premio. Qualche eccellenza o prestazione
R E allora? Hai visto una foto? Hai visto questa foto...
U Hai amici?
R E questa foto... tu...
U Amici?
R Sì, certo che ne ho. Che cosa...
U Nuovi amici o i medesimi vecchi amici? Pausa. Hai gli occhi rossi. Sembra che siano irritati
R Che cosa hai provato?
U Non li strofinare
R Una foto. E così sei venuta in macchina fino a qui?
U Sì. La vuoi vedere?
R No. Non la voglio vedere
U Ma tu sai la foto di cui...
R Sì
U Smetti di strofinarti gli occhi
R Fanno male
U È perché li strofini
R Li strofino perché fanno male! È l’unico modo per farli smettere. Hai guidato fino qui?
U Sì
R Quanti... Quanto tempo ci hai impiegato? Dove... Non ci credo
U Sono io? È colpa mia? Sei allergico a me? Pausa. Egli la guarda fisso. Non hai intenzione di parlare?
R Stiamo andando a camminare fuori. Egli si muove verso di lei. Sui tuoi piedi. Per favore, ti vuoi alzare? Stiamo uscendo. Stiamo andando a camminare attraverso il...
U Ti ho scritto delle lettere
R Lettere?
U Loro...
R Non ho ricevuto nessuna lettera.
U Non sono mai...
R Quando?
U ... state mandate. Pausa.
R Che cosa dicevano? Quando è successo?
U Non era inteso che io le mandassi. Mi hanno detto, la gente che mi ha aiutato. Le... Chi... In seguito... di scriverti una lettera... delle lettere... dicendoti che cosa pensavo di te. Che cosa sentivo. Che cosa volevo dirti. Di non permettere che tu vincessi. Autorità. Ed è stato...
R Autorità? Che cosa...?
U Ne ho scritte a centinaia. Cavarti gli occhi. Ho scritto che volevo cavarti gli occhi, ho scritto... tormentarli, camminarci sopra. Gli occhi che mi avevano guardato. Le mani. Fare... ogni genere di cose. Le ho ancora
R Le hai tenute?
U Le migliori. Ancora le leggo qualche volta. La furia, in quelle lettere. Poi dovetti scrivere di speranza. Mi convinsero a scrivere di speranza. Per come potevo essere in grado di farlo. Ciò che ero libera di fare adesso. Ciò che il futuro sarebbe stato. Il promettente futuro. La promessa che il futuro aveva in serbo. Nonostante te. A dispetto di te. Al di là di te. Non hai risposto. Nuovi amici? O i tuoi vecchi amici stavano al tuo fianco?
R Cosa credi?
U Credo che il fatto...
R Sei-sette ore di guida fino a qui. Per che cosa? Per...
U Perché in quella foto tu stai...
R ...per farmi soffrire?
U Io non lo chiamerei... I tuoi occhi, soffrono... E allora strofinali di più. Più forte
R Non avevo bisogno di parlarti. Avrei potuto andarmene via. Io sono sotto nessun...
U Così quest’uomo...
R Quale uomo?
U L’uomo che ha buttato l’immondizia per terra... Non è l’immondizia, non era l’immondizia, l’atto di sporcare in sé: era l’uomo, la persona che lo faceva. Perché egli non è stato istruito, educato, civilizzato abbastanza. E ho pensato... se fossi andata a casa sua e avessi gettato immondizia sul suo tappeto... Ma le strade, i marciapiedi, non sono casa mia, così... non mi curo delle strade. Penso solo che sei una bestia. Nessuno si è preso cura di te nel modo giusto e sei così stupido, così troppo stupido perfino per sapere che - o tu non vorresti che altri vedessero proprio che razza di... guarda quello che sei. Questo... Non sai nemmeno di esistere.
Ho solo chiesto di parlare con Peter ed è apparso Ray. Pausa
R Ciò non ha senso. Assolutamente insensato. Puoi vederlo? Non puoi vederlo? Chi ti ha detto di farlo? Chi ti ha consigliato che fosse...
U Nessuno
R La gente che... che ti ha aiutato. I tuoi...
U Ho smesso di vederli anni fa. Non ci stanno per sempre
R Il dottore! Un confronto. Come lo chiamano? Il... a faccia a faccia. Per... Non sono d’accordo con questo
U No
R Per ottenere che cosa? Non hai il diritto alla mia... alla mia... alla mia umiliazione. Dove lavoro, dove c’è gente, i miei colleghi, i colleghi di lavoro. Andare in giro, chiedere di me... Non ho niente da dirti. Io... Tu sei una specie di fantasma ricomparso dal nulla per... Vattene a casa. Per favore. Lasciami solo. Va’ a casa
U Credi che via ancora nella medesima città?
R Non lo so. Non so dove vivi. Come potrei saperlo?
U È così. Vivo ancora là. Noi...
R Fuori di qui e...
U Mai mossa
R Torna laggiù, Torna indietro
U Veramente mi sento come un fantasma. È così. Mi sento un fantasma. Ovunque vada. L’ho anche scritto nelle mie lettere. Mi hai fatto diventare un fantasma. La gente parlava di me come se io non fossi là. Non mi avrebbe permesso di parlare
R Vattene fuori. Va’. Te lo sto dicendo. Ascoltami. Sei... Esci all’aria aperta. Respira fuori. Sali in macchina. Smetti di essere un fantasma. Tu... tu vivrai ancora. Perché questo... questo... questo, non avrebbe mai dovuto succedere. Perché già ti senti sempre meglio. Questo ti fa sentire bene?
U Sì
R Bene. Allora... È così. Non ho niente da dirti. Tu... tu sei oltre. Come? Come cazzo è questo bene? Dimmi... tranne... tranne che non sai che cosa vuoi. Non sai perché sei qui. Dillo a chiunque ti ha spedito qui
U Nessuno. Te l’ho detto
R Allora non mi riguarda. Egli si avvia
U Dove stai andando?
R No
U Non andare
R Non mi riguarda. Non è mia responsabilità
U Ti seguirò
R Fa’ ciò che ti pare. Questo è... questo è l’inferno. Sta’ lontana da me. Tu hai bisogno di aiuto. Egli è alla porta. Esce
U Ray, non lasciarmi qui. Egli rientra, chiude la porta. Pausa
R Ho delle cose da fare. Devo controllare delle cose. E, dopo, quando me ne vado, stanotte, devo essere in certi posti. C’è gente che conta su di me
U Cosa? Che cosa fai?
R La cosa è... che... non so nemmeno se sei tu. Se tu... sei lei
U Lo sono. certo che lo sono
R Non ti ho riconosciuto
U Sì, invece
R No. Non l’ho fatto. Tu... No
U Sei impallidito
R No
U Ti è defluito il sangue
R Non... non quando ti ho visto. Non sapevo chi fossi. C’è una qui che vuole vederti. È tutto quello che mi hanno detto
U Quando ho detto...
R Sì... sì ma io conoscevo il nome. Lo ricordo il nome. Dio, il nome... ma tu potresti essere... una... una sua amica. I tuoi capelli hanno un colore diverso. Una giornalista, una...
U Non lo sono
R Una reporter, che so. Non so che cosa questo significhi
U Con quante altre dodicenni hai fatto sesso? Pausa.
R Nessuna
U Vuoi vedere la voglia che ho sulla pelle? Tu l’hai baciata. O sapere quel che mi hai detto sulla spiaggia. Guardando il mare verso l’Olanda. O su quel letto in quella stanza in... Niente? Cambiamo, noi dodicenni, cresciamo, invecchiamo. Pensa un po’
R Niente
U Solo io, in quella stanza.
Pensavo che sarebbe stato duro vederti, parlarti. Quasi tornavo indietro. Ma non lo è. È facile. E ti avrei riconosciuto dappertutto, anche se ti avessi voltato la schiena. Ho visto i tuoi occhi ancor prima di dire il mio nome. Ti ho visto. Hai qualcuno? Vivi con qualcuno? Non vuoi dirmelo. So che stai con una donna, dal modo come mi hanno guardato fuori, dal modo come hanno guardato te quando hai camminato verso di me. Una buona ragazza? Ella...
R Non sto parlando di lei
U ... ti aspetta a casa? Pausa
R Vuoi che dica qualcosa? C’è qualcosa che vuoi che dica, adesso?
U Ella sa di me?
R Non ti dico niente della mia vita, chi c’è nella mia vita. Se questo è ciò che vuoi scoprire... e io non so perché tu... tu vorresti che... ma non otterrai niente. Capito? Capito? Pausa
U Mio padre è morto. Non lo sapevi? Non te l’hanno riferito? Egli scuote la testa. Sei anni fa. Magari tu non eri qui, magari eri altrove
R Ero qui. Come?
U È caduto. Inciampato. Gradini. E... deteriorati. Non c’era mai salito sopra. Egli... Tu eri un ospite a casa nostra. Io ero la sua bambina. Egli ti ha invitato come ospite nella sua casa. Ha cercato di trovarti
R Sapeva dove fossi i primi quattro anni
U Voleva ucciderti. Non c’era un secondo pensiero. Lo diceva continuamente. Era... Avrebbe voluto ucciderti. Ray ha un sussulto, snervato dal suo tono alto. Prossima alle lacrime, Una cerca nella borsa. Ray la guarda, turbato
R Cosa c’è là dentro? Cosa c’è nella tua borsa? Che c’è dentro?
U Ho bisogno di...
R Dammela
U No. Perché?
R Cosa stai facendo? Sei...
U Cosa?
R Non... Le strappa via la borsa
U Sei...
R Vuoi uccidermi? Pausa. Fruga nella borsa. Ne estrae un pacchetto di fazzolettini.
U Ti avrei “kleenexato” fino alla morte. Ella tende le mani. Egli le rende il pacchetto. Egli estrae una bottiglietta d’acqua. E questo è acido, non acqua. Egli prende la pagina strappata dalla rivista. La sua foto. Un colpo alla porta. Una voce da dietro la porta
Voce Peter. Pausa. Si guardano. Ray va verso la porta. La apre appena e guarda al di là dell’apertura
R (alla persona all’esterno) Va tutto bene. Chiude la porta. Continua a tenere la foto
U Quando la vidi, io... la foto. Non è chiara ma capii che eri tu. L’ho strappata via, l’ho portata a casa, tenerla, tenerla per guardarla. Il nome sotto: Peter. Peter? Non potevo... Sono così tarda, a volte... Hai cambiato nome
R Sì
U È difficile?
R No. No è stato molto facile
U Voglio dire: decidere. Decidere per uno nuovo. Scegliere un nuovo nome. È duro? Per quanti devi passare prima di decidere? Hai fatto una lista?
R Ho scelto un nome a caso
U Come?
R Ho aperto l’elenco del telefono
U Attaccata alla coda di un asino
R Qualcosa di simile
U Qual è il tuo nome completo? Peter che cosa? Peter... Posso chiedere in giro
R Trevelyan
U Peter Trevelyan
R Sì. Pausa. Ella fa un rapido sorriso, poi lo soffoca
U Da dove cavolo è uscito? Peter Trevelyan?
R Sotto la T. Era necessario. Esso...
U Ma, Gesù! Trevelyan! Forse che... Dio, no! Nato in un castello. Il cucchiaio d’argento. Viene da un elenco telefonico a caso? Stavi delirando? Delusione di... di grandeur? Perché, Gesù! Anche il ricco dorme... dorme con ragazze giovani. Minorenni. E anche rovina loro la vita. In effetti il ricco ha diritto di avere altrettanto sesso con ragazze giovani quanto il povero. Devono stare a naso a naso. Ma se fa il lavoro... Se... Lo fa? Comandare rispetto? E ti aiuti. Ti aiuti.
R Va bene...
U Dimentica
R Quanto basta
U Essi non lo sanno. Nessuno di loro, fuori. Lo sanno? E la tua... la compagna? Ella... la... la signora del castello. Nessuno
R Lo sa
U Lo sa?
R Sì
U Come fa a saperlo?
R Glie l’ho detto io
U Tutto?
R I fatti
U La mia età?
R Sì
U La tua condanna?
R Sì
U Quando? all’inizio della...
R Sì. Siamo stati insieme sette anni
U Che cosa le hai detto? Che cosa? Mi dici che cosa le hai detto?
R Che quando avevo quarant’anni ho... ho avuto una relazione illegale. Che ho fatto sesso con una minorenne
U Ed ella era contenta di ciò?
R No. Naturalmente, no. Ma io... le ho detto che cos’era la mia vita allora. Non me la passavo bene. Avevo dei problemi e io non... non riuscivo a gestirli. Arreso. A pezzi.
U Davvero?
R Feci il più grande molto molto stupido errore della mia vita
U Le hai detto che era...
R Che cosa?
U Uno stupido errore che hai fatto durare tre mesi. E che sei fuggito con me. Anche questo?
R E che io... mi sono tirato su... io... sono tornato in pista. Io... tu ridi. Non mi credi. Bello, questo. È bello questo che fai con me. Non ho bisogno di te
U Ella ti ha creduto. Hai fatto in modo che ti credesse
R Perché mi ama
U Che c’è di sbagliato con lei? Ci dev’essere qualcosa di sbagliato con lei
R Non... Non dire questo. Non parlare di lei. Ella... ella mi ha aiutato
U Avete bambini insieme?
R No
U Volete dei bambini?
R Questo non è divertente
U Mi vedi ridere? No, credo di sì. Ride brevemente. Egli si volta. In quella foto non c’è niente. Niente sulla tua faccia. Sorridente. Hai dimenticato... hai
R Sì. Sì l’ho fatto
U Dieci anni dopo... otto, otto anni adesso, dovresti essere nel casellario. Il tuo nome dovrebbe esserci. Ray vorrebbe esserci. Tu dovresti... Non dimenticheresti. Non potresti Peter non dovresti... nessuno te lo permetterebbe. Non vorresti proprio essere al mio posto. Ci sarebbero delle persone intorno a casa tua
R Vivo la mia vita. Una nuova vita per la quale ho lottato perché ho perso...
U Pensi mai a me?
R Ne ho ogni diritto. Posso andare più lontano di quanto...
U Che cosa accadeva a me?
R Pensi che dovrei riviverlo ogni giorno? Questa è la mia vita. Non puoi...
U Quando quel giudice...
R Non puoi venire qui e...
U Sei anni. E quando i miei genitori me lo dissero
R Ho diritto a qualcosa. A vivere
U Ho emesso io la sentenza. Ho emesso io la tua sentenza. Per quindici anni. Ho perduto tutto. Ho perduto più di te. Ho perduto... perché non ho mai avuto... avuto tempo per... per... per cominciare. Non ci siamo mai mossi di là. Quella casa in quella strada. Io sono stata chiacchierata, additata, osservata. Ho perduto tutti i miei amici. Io... io ho tenuto il mio nome. Dovevo tenere il mio nome. Io.. sì... io lo rivivo ogni giorno
R Vuoi che io... qualunque cosa sia che vuoi da me... io ti ho preso seriamente. Ma se tu mi dici... non puoi pensarci ogni giorno
U Io non devo pensarci. La cosa è là.
R E questo è saggio? No. Permetterti? Per... nessuno te lo direbbe... non hai amici, persone che...
U Certo che ho degli amici
R Loro lo sanno?
U Sì
R E ascoltano? Loro ancora...
U Sì
R Che tipo di amici sono? Che tipo di...
U Non parlarne
R Loro permettono questo? Loro veramente... Loro si aspettano di acoltare... è così? Come è successo? Come. Ma sono fuori di testa? Ti ci hanno portato loro qui? Sì?
U Non c’è nessuno con me. Quante volte devo dirtelo?
R Hai... un compagno? Un...
U Non c’è niente da dire su questo
R Nessuno si occupa di te? Pausa. Io ho fatto la stessa cosa. Ti ho portato qui. Parla. E io ero... e ascoltato e...
U Che dici delle foto?
R Che cosa fai? Lavori? Sei in grado di lavorare? Hai avuto tempo per...
U Le foto
R Quali foto?
U Le foto che mi hai fatto. Nel tuo appartamento. Dove sono? Non le hanno mai trovate
R Io...
U La polizia non le ha mai trovate
R Loro...
U Ho visto dei siti web. Centinaia di siti web. Centinaia di persone di nove, dieci, undici, dodici anni. E anche più giovani. Fotografate in... sui letti... in stanze da letto e... Ci sono stata solo io? Perché queste... alcune... le foto vanno indietro fino agli anni settanta... loro... lo si può capire dalla stanza... e la gente, uomini, le osservano, e le mettono, loro... queste creature sarebbero adulte adesso e non sanno di essere...
R Le ho bruciate
U Davvero?
R Sì. Certo che l’ho fatto. Naturalmente. Nessuno mai le vedrà. Le ho bruciate prima che noi... prima che ci lasciassimo. E loro non potrebbero... Tu stai vestendo il tuo abito, i tuoi jeans... Loro...
U E sto sedenedo sul tuo divano. Sdraiata. Loro hanno le stesse foto che...
R Quei siti! Che... Quelle persone! Quei fottuti bastardi. Non sono mai stato uno di loro. Non lo sono mai stato. Tu... Ti hanno detto che lo ero, che lo sono, io... mi hanno chiamato così. Loro... Una si alza per andare. Che fai?
U Voglio andarmene
R No. Non ero uno di loro. Mai. Loro...
U Fammi andar via
R Aspetta
U Lasciami andare
R Solo un minuto. Siedi
U No
R Siedi
U Non venirmi vicino
R Non così. Non...
U Voglio andar via da qui. Uscire da quella porta
R Ascoltami
U Più lontano
R Ascolta. Ho passato tre anni all’inferno. E più
U Sì
R Come mi chiamavano. Sputato, preso a calci. Merda, merda umana che mi hanno gettato in faccia. Lo sai che non ero uno di quelli
U Come
R Lo sai
U Io non ti conosco. Non so nulla su di te eccetto che hai abusato di me. Non è vero? Non è vero?
R Sì. Ma...
U Non c’è nessun ma
R Consentimi
U Non ci sono ma
R Sì. L’ho fatto. Ma...
U Gesù!
R Io non ho fatto. Non ho fatto
U Non fatto che cosa?
R Al processo dissero che... lo fecero sentire, lo mostrarono... che io ti avevo selezionato. Che avevo scelto... Quel giorno. Quel giorno al barbecue. Quando abbiamo passeggiato per la prima volta. Non venivo per questo... lo sai. Alla cintura, il telefonino squilla. Quando ti ho parlato per la prima volta. Io... Aspetta. Guarda lo schermo del telefono. Lo chiude. Pausa.
U Era lei?
R Sì. Posso avere un po’ d’acqua? Prende la bottiglia e beve. Non so perché mi ha invitato, tuo padre. Gli ho detto “salve” sulla strada quando l’ho visto. Una volta lo avevo aiutato con la macchina. Ma... fui sorpreso quando mi chiese... non volevo venire. Non conoscevo nessuno là. O vicini che... Ma io... Le mie finestre erano aperte e potevo sentire il profumo del barbecue. Cinque porte più avanti. Il fumo. Non ero per... per causa tua... per... Ti avevo visto in strada. Nei paraggi. Ma non... non...
U Tu mi guardavi. Al barbecue
R No
U Ti ho visto
R Non ti guardavo
U Lo sentivo
R Ti ho visto. Non ti guardavo
U Dicesti “perché non sei felice? Dovresti esserlo”. La prima cosa che hai detto
R Sì. Stavi seduta da te. Non parlavi con nessuno. Non eri molto felice. Questo è ciò che ho visto. Tu... La gente cercava di parlarti e tu... tu non rispondevi. Litigata con la tua migliore amic. Non è così?
U Ci ho pensato... dopo. Se non avessi litigato. Se lei fosse stata là. Avrebbe potuto essere lei
R Quanta gente c’era là? Quanti ospiti? Quindici, venti. Nel tuo giardino. Il giardinetto dei tuoi genitori e... Sai quando ci sei... una persona lo sa. Ho letto questo... che... quando quei tipi sono colpiti dai bambini... dai minorenni...
U Lo hai letto?
R Sì
U C’è un manuale?
R C’è
U Un elenco da spuntare?
R Perché quando sei pretti
U Quali fatti?so dai bambini... quando...
U Anch’io ho letto di simili libri
R E anch’io. L’ho fatto. Quanti ne ho potuto trovare... per... per... Sì un elenco. Era così, sì. Per trovare... per... conoscere i fatti
U Quali fatti?
R I fatti. I percorsi. Il... il ciclo.
U Il ciclo?
R Del... del...
U Dell’abuso.
R Sì
U Non puoi dirlo?
R Abuso. Abusare. Sono immagini
U Sei stato abusato da piccolo?
R No
U Sei sicuro?
R Sì. Per grazia di Dio. Non... Mi sento male. Credo che dovrei ricordarmelo. L’avvocato me lo chiese. Sarebbe stato meglio per me se lo fossi stato. Meglio, meglio per tutti se lo fossi stato. Ho letto quei libri. Ho riflettuto sulla mia vita. Per essere sicuro di non essere uno di quelli, uno di... Perché sentirsi dire per quattro anni... essere richiesto di chiedermi... di interrogarmi. Non ricevere... Perché quando sei... quando i bambini... quando loro... loro lo fanno... loro... per... per una persona... ma non vogliono ammettere... sono scioccati... orripilati... che loro si sentono così. E se ne stanno da parte. Sono una minaccia e lo sanno. Si allontanano. Loro... perché loro li amano ma... li amano troppo per... per voler mostrare quell’amore perché quell’amore è... li vogliono proteggere. Se ne stanno lontani da ovunque i bambini si trovino. Ma se tu sei eccitato. Desideri. E vuoi volere di... nutrire quel desiderio... Loro trovano dei modi... loro... loro cercano sempre dei modi per essere vicini a loro. Per attirarli. Queste persone sono... molto molto attente e sono molto molto ingannevoli. Più grande è l’inganno, più grande è il rischio... maggiore è il piacere.
U E hai memorizzato questi libri?
R Era un giorno molto caldo. Il giorno del barbecue. Io... e io avevo un paio di calzoncini addosso. Il mio solo paio di calzoncini. Io ne posseggo sempre un paio alla volta. Ne indosso un paio finché sono vecchi e poi ne compro un nuovo paio. Perché io non...
U Che cosa?
R ...indosso calzoncini
U Tu sei?...
R Io non indosso mai calzoncini a meno che non sia molto caldo
U Calzoncini?
R Ed erano calzoncini molto stretti. Era lo stile di allora. Lo... non sorridere. Non... sto cercando di dirti. Non... loro ridevano nel cortile. Loro ne ridevano nel cortile. Ricordo questi calzoncini
U Ma tu ti senti? I tuoi calzoncini stretti? Sai come...
R Se avessi un’erezione... se avessi un’erezione. Eccitato. Se fossi in piedi vicino a te. Avrei... me ne sarei andato via.... oppure mi sarei seduto... perché quando avevo un’erezione in quei calzoncini era... non si poteva non vedere. Era evidente. Qualunque persona guardasse poteva vederlo chiaramente... qualunque ospite avrebbe visto. Avrebbero... e non è... io so che non è la sola... indicazione... ma... ma lo è per me. Quando io sono... quando io... eccitato ci vado giù duro. Ci vado giù duro immediatamente. Ma sono rimasto là e ti ho parlato. Tu eri la figlia di qualcuno... la figlia di un vicino che... che era seccata del mondo quel giorno. Non... non un... obiettivo. Io mai... io avevo una... io vedevo una donna. E io so che loro... quelle persone possono avere relazioni... e tuttavia fanno ciò che fanno. Ma la maggior parte di loro non... no. Sono dei solitari. Incapaci di avere una... Pausa.
U I miei genitori pensavano che tu fossi...
R Che cosa?
U Timido. Un po’ insignificante. E un solitario. Perché non avevi portato la tua ragazza. Il mio babbo diceva che tu avresti potuto portarla
R Non era la mia ragazza. Ella era...
U La vedevi spesso
R L’ho frequentata solo per alcuni mesi. Non riesco neanche a ricordare il suo nome. Era insignificante
U Mi ha assalita una volta. Un paio di anni più tardi. Stavo camminando per la strada con mia madre. Ella è arrivata e mi ha dato uno schiaffo. Pausa
R Ella diceva che tu avevi l’abitudine di fissarla. Che tu mi stavi, mi stavi dietro. Che tu gironzolavi in strada accanto alla mia macchina
U Mi vedevo con la mia amica. Le avevo raccontato di te. Di aver parlato con te. Che tu... tu mi guardavi. Flirtavi
R Eri tu non io. Tu... I bigliettini. Tu scrivevi bigliettini. Li mettevi sotto i tergicristalli della mia macchina. La tua amica è brutta. Ha un occhio di vetro. Sempre una sola frase. Ride come un asino.
U Non è così
R E altri. Ricorda il barbecue. Quello era uno. Dovetti dirti di smettere. Fuori dal giornalaio. E tu chiedesti di che cosa stessi parlando. Pretendevi di non saperlo
U Smisi. Smisi di scriverli. Avevo fatto tutto quello che mi dicevi. Volevo che fossi il mio ragazzo. Volevo sederti accanto in macchina e guidare fino in città. E che la gente mi vedesse. Ci vedesse. Ho fatto un’istantanea Polaroid di te e... con la mia amica... la baciammo... noi... la misi sotto il mio cuscino e dormiso su di essa. E io... ogni scusa. Ti portavo biscotti e ogni dolce che faceva mia madre. Ti chiesi di accompagnarmi in una gita con altri. Io... oh ero senza pudore. Non me lo hai impedito. Tutto quello che dovevi fare era di dirlo ai miei genitori. Una stupida ragazza che aveva una stupida cotta. Ma tu non lo facesti. L’hai fatta cominciare
R Non eri stupida
U Sì che lo ero
R Non lo eri
U Se non fossi stata stupida avrei dovuto sapere che cosa stava per succedere. Ma non lo feci. Ero troppo giovane. Troppo troppo... innamorata. Troppo stupida per non essere stata più adulta... per non aver avuto... la consapevolezza... l’esperienza. Ma era questo che tu volevi. Non facevo domande difficili. Non avevo nulla da domandare. Volevo tutto quello che volevi tu
R No
U Sì. Dissi di sì e continuai a dire di sì. Desiderosa di piacerti. Disperata di piacerti
R Non ti ricordi di te. Di com’eri
U Come ero?
R Forte
U Forte? Che significa?
R Testarda
U Non...
R Determinata
U Non...
R Quando cominciammo a parlare sul serio. Da soli. Quando tu mi dicesti di te. Scoprii... Mi avevi sorpreso. Mi facevi ridere
U Ridere? Facevo... che cosa? Facce stravolte?
R Io...
U Ti solleticavo?
R Tu eri più vecchia di lei. La donna con la quale mi vedevo
U Più vecchia?
R Con quello stupido ridere. Sì
U Come, più vecchia? Tu hai non fatto nessuna...
R Tu sapevi dell’amore. Conoscevi dell’amore molto più di lei. Di quanto io ne sapessi. Sapevi quello che volevi. Così... così impaziente. Non potevi aspettare di avere le mestruazioni. Me lo hai detto tu. Eri stufa di essere trattata come una bambina. L’ultima cosa che volevi che ti dicessero era che eri una bambina
U Gesù!
R Tu...
U È questo che le bambine dicono
R Non eri come le altre bambine
U Ero ragazza. Una vergine. Un corpo intatto. Un... da regalarti. Che fossi il primo. Che mi insegnassi. Che mi mostrassi
R No
U Che mi venissi dentro. Che cos’altro avrei potuto darti... che non fosse il mio corpo da dodicenne? Che cos’altro avresti voluto? Non c’era nient’altro
R C’era. Per me c’era. Ella si allontana da lui. In prigione. Le sessioni. Le sessioni di gruppo. Il rastrellare ogni... ogni cosa. Cos’era sbagliato. Cos’era perduto. Il mio... il mio stato. La mancanza di stato. La rabbia che avevo. Incolpare gli altri. L’urgenza di distruggere. Perché facevo quello che mi dicevano di fare. Distrutto. Distrutta tu. La tua famiglia. I miei genitori. La mia vita. E ciò che mi guidava non era l’amore che sentivo. Qualcosa... qualcosa di marcio. Qualcosa di più profondo. i eri sempre nella mente. Non potevo liberarmi di te. E ci ho dato dentro... ci ho dato dentro. E questo... ogni cosa... ogni giorno ero fissato su come avrei potuto vederti, parlarti. Ho lasciato il lavoro presto. Io... io lavoravo con la mia auto per le strade. Non avevo bisogno di lavoro. Mettevo le cose da parte, le riponevo tutte insieme. Giusto così... il meccanismo era perfetto. Ma avrei voluto... perché tu avresti dovuto essere là e avremmo potuto parlare e questo era bello. Era tutto all’aperto e nessuno pensava niente. I tuoi genitori. I bambini che giocavano laggiù. Ma, non era sufficiente, non era. Avrei dovuto essere solo con te. Tu ricordi il... i codici... i segnali che usavamo per... per incontraci. Solo per parlare. Chiacchierare. Essere soli insieme. Ricordi? Ho telefonato a casa dei tuoi. Solo uno squillo. Ricordo che ella non era con te. Tu eri da sola. E la mia auto parcheggiata proprio di fronte.
U L’ho dimenticato. E il giorno dopo che tu avresti dovuto essere là per incontrarci. Nel parco. Il parco pubblico
R Era il solo luogo dove potevamo incontrarci
U La prima volta. Nel parco. Erco così eccitata. Sapevo che ci saresti stato. E ho corso. Perché tu eri mio. Stavi seduto su una panchina leggendo un giornale. E la prima cosa che mi hai detto... mi hai detto di non sedermi accanto a te. Dovevo camminare standoti dietro. E sapevo perché
R Era ridicolo. Stupido posto dove vedersi. Non ci avevo pensato. Io, io non ci avevo pensato. Non sapevo che cosa mi stesse accadendo. E tu...
U Camminavo nei cespugli
R Sei scomparsa. E hai cominciato a chiamare il mio nome. Ray! Vieni qui, Ray! Mi sono seduto là e... un uomo... c’era un uomo che camminava sul sentiero. Tu hai chiamato ancora e quello mi ha guardato e si è messo a ridere. Non ti aveva visto. Non sapeva. Sentiva solo la tua voce. Rai, vieni qui! Ti aspetto! E io... Ero stato visto ma potevo ancora spiegarlo. Fino a quel momento avrei potuto ancora essere creduto. Avrei potuto camminare via e tutto sarebbe finito.
U Ma non lo hai fatto
R No. Non potevo. Qualunque cosa succedesse... qualunque cosa pensassi... pensavo... a che cosa mi facesse credere di amarti. Che cosa mi ha fatto camminare attraverso l’erba, il... mettermi in ginocchio e strisciare sotto i rami. E prenderti la mano e... e baciarti
U E sdraiarsi uno accanto all’altro. E aprirmi la camicetta e toccare i... i mei seni. E... e tirarti giù la cerniera. E afferrare il tuo cazzo
R Non la prima volta
U Scusa. Tu... tu gentiluomo. Non la prima volta. La seconda, la terza. Tutti e due sdraiati su una coperta che avevi portato. Una coperta. Pensavo che fosse per me ma era...
R Lo era...
U ... perché i ramoscelli e la terra e... non rimanessero attaccati ai miei vestiti. Cosicché nessuno potesse sospettare
R Non volevo che si sorpendessero. Io non ho mai... amato... Mai desiderato nessuno di quell’età, prima. Mai
U Giusto me
R Sì. Giusto te. Tu eri l’unica. Pausa. Non lo avevo mai sperimentato prima. Il parco, gli arbusti. La coperta. Mi sono sempre chiesto il perché
U Io non glie l’ho mai detto
R Perché?
U Ero... non so. Nemmeno tu lo hai fatto
R No. Mi hanno dato dieci anni. Pausa
U Sono stata in tribunale solo un giorno. Dietro quello schermo. Non ho mai saputo che cosa fu detto. Nessuno mi disse niente. Ero a casa di parenti. Non potevo andarmene. Niente televisione, niente giornali. Nessuno mi disse niente del processo. Anche adesso mia madre non lo fa... Qual era il nome della città? Dove... dove andammo. C’era una spiaggia. Guidammo fin laggiù per prendere il traghetto. Era buio. Inverno. I negozi erano chiusi. Qual era il nome?
R Perché?
U Voglio saperlo. Non posso trovarlo da nessuna parte. Qual era il nome? Camminammo lungo la spiaggia. Faceva freddo. Ci tenevamo per mano. Potevamo farlo perché era buio. Tu guardasti il mare. Il mare oltre il quale saremmo andati. Puoi vederlo? È là. Hai fissato una stanza in una pensione. Dovevo starti dietro mentre pagavi la donna. Mi hai preso per mano e abbiamo salito le scale. La conosci? Quella donna.
R No
U Ho sempre pensato che la conoscessi. Non so perché
R No. Come avrei potuto? No. Che cosa...
U C’erano letti gemelli
R Va bene
U Perché no?
R Ti ho detto il perché. È... Non voglio sentirlo
U Io sì
R Sappiamo entrambi che cosa accadde
U Io no. Non so tutto. Tu nemmeno. Tu non sai tutto. Foglio che tu lo sappia. Che cosa ho fatto per te
R Che cos’hai fatto per me?
U Qual era il nome della città?
R Tynemouth. Pausa
U Letti gemelli. Una TV. Nient’altro. Le finestre guardavano verso il mare. Ci siamo spogliati. Abbiamo fatto sesso su uno dei letti. Non so per quanto tempo. Sapevo quanto piacere ciò ti aveva dato. Mi piaceva essere in grado di farlo. Lo abbiamo fatto due volte, scopato due volte. Tu hai fatto un sacco di rumore. Dopo siamo rimasti abbracciati. Io ho gridato un po’. I miei genitori mi avrebbero cercato. Magari telefonando alle mie amiche... magari a scuola chiedendo dove fossi... perché non ero a casa... qualcuno mi aveva visto? Pausa.
Tu dicesti che volevi delle sigarette. Sei uscito a cercare un negozio, un pub. Volevo venire con te ma tu hai detto di no, che dovevo aspettare là, aspettarti. Ci avresti messo cinque minuti. E mi hai toccato ... mi hai baciato fra le gambe... la tua lingua... entrambi i seni. Saresti tornato immediatamente.
Rimasi a letto. Ascoltavo i puoi passi scendere le scale. Mi sono attorcigliata nelle lenzuola e sono andata alla finestra. Volevo del cioccolato. Cercai di aprire la finestra. Ho mangiato di tutto dopo. Dolci. Volevo gridarti: cioccolato! ma la finestra non voleva aprirsi. Ti ho visto dabbasso, aprire il cancello di fronte. Ho battuto sui vetri ma tu... tu stavi già camminando lungo la strada, nel mezzo della strada. Non potevi sentirmi.
Mi sono addormentata e quando mi sono svegliata mi sono sentita meravigliosamente. Ero dolorante fra le gambe ma ero così felice. Il mio uomo sarebbe tornato presto e avrebbe portato del cioccolato per me. Non avevo bisogno di dirrti ciò che volevo. Tu lo sapevi e me lo avresti portato. Ma tu ancora non tornavi. la stanza era fredda. Mi sono rivestita e guardavo dalla finestra. La tua auto era ancora là sulla strada. Sentivo parlare al piano di sotto, ma non chiaramente. Ma, comunque, erano delle voci. Ho camminato per la stanza. La porta principale era chiusa. L’unico suono era una TV da una stanza. Le voci venivano dalla TV. La porta era appena aperta. Ho bussato. Non accade nulla. Non c’era nessuno là dentro. Ho aperto la porta della stanza e sono uscita. Sentii un grido mentre chiusi la porta. La donna. Ho aperto... l’ho vista... “che cosa fai” o... l’ho vista avvicinarsi a me... e io, ho chiuso la porta e... ho corso verso il cancello e via nella strada e correre.
Ho camminato verso il centro della città. Era tardi. Le dieci all’orologio della chiesa. Il traghetto partiva a mezzanotte. Non c’era molto da aspettare. Tu non c’eri da nessuna parte. Un negozio era aperto, luci. Chiesi dentro se un uomo aveva comprato delle sigarette. Mi disse di andarmene. pensava che io volessi comprare sigarette. Ho cercato di descriverti ma non ascoltava.
Poi un pub. Il primo pub. Tu avresti potuto essere dentro per bere qualcosa e fumare. Ma non potei entrare... dovetti... tutto il mio coraggio... aspettare finché due uomini si avvicinarono... andar dietro a loro... e cercarti... girando per il pub. Uomini che giocavano, ridendo. Che cosa cercavo? Ti sei perduta, muletta?
Io dissi: mio padre. L’uomo dietro il bar mi chiese... Avevamo detto che se avessi avuto problemi, tu eri mio padre. Gli ho detto che cosa indossavi, come sembravi. Ti aveva visto. Eri stato là. L’accento. hai fumato una sigaretta, hai preso da bere, e sei uscito. Era preoccupato, l’uomo. Mi ha chiesto il nome e glie l’ho detto. Voleva venire con me, aiutarmi a cercare. Dissi di no, no, no, sto bene, sto bene. Ho ripreso a camminare. Lungo la via principale. Passavano poche persone. Volevo chieder loro se ti avessero visto ma non sapevo che cosa dire. Sono andata in un altro pub, un altro. Tutti si giravano a guardarmi, gridando, ridendo.
Ho camminato ancora e ancora. Il prossimo pub, il prossimo. La gente mi fissava, rideva, mi dicevano di andar via, Ho camminato oltre le case... quasi vicino al mare. Camminavo dieci passi, correvo per altri dieci, Tu potevi essere al prossimo angolo, il prossimo. In ogni momento. E ogni macchina eri tu. le case finirono. Ero arrivata alla fine della città. La strada proseguiva. Guardavo il buio della campagna. Ero andata troppo lontano. Avevo camminato troppo lontano. Ero alla fine. Tu... ti avevo perduto. Forse eri tornato alla pensione. Mi cercavi, ti chiedevi dove fossi. Avrei... Corsi. Corsi indietro. Pensavo di essere abbandonata e poi che non lo ero. Potevo vedere l’orologio sopra i tetti. Camminai verso di esso. Erano le undici e mezza. Avremmo potuto ancora prendere il traghetto. Corsi e corsi. Potevo vedere la pensione. Ma la tua auto era andata via. Ho cercato... corso su e giù guardando dentro le macchine ma... e la mia borsa era dentro la tua macchina... con tutti i miei vestiti... con tutto. E tu eri andato via. I vestiti che avevo comprato. Ma... e... il mio passaporto in tasca e quel... io... La stanza... ma era buia, la finestra. Non sapevo che cosa fare. Avrei atteso. Mi sedetti su una panchina. Ero infreddolita, affamata. Volevo sapere perché te ne eri andato. Che cosa avevo fatto. Piangevo. Mi avevi abbandonato. Mi avevi... o qualcosa di terribile era successo. Eri stato uccisio o rapito o... Non potevo far nulla, non potevo andare da nessuna parte. Non avremmo dovuto essere sul traghetto. Non avremmo dovuto partire. Non sapevo che cosa fare. Era successo qualcosa. Tu non mi avresti abbandonata. Tu non lo avresti fatto. Sentii mezzanotte. Tu non arrivavi. Ero sola. Una donna mi parlò. Mi aveva visto e venne verso di me. Un uomo e una donna che portavano a spasso il cane. Mi chiesero che cosa ci facessi qui. Dove vivevo? Chi badava a me? Sono andata a casa loro. Mi diedero coperte e telefonarono ai miei genitori. Stavo sdraiata sul divano e sentivo che lei parlava con mia madre. La polizia venne insieme con lei. Mi sentivo male. Volevo morire. Non ti avrei visto mai più. Avrei dovuto misurarmi con tutti loro... ciascuno... tutti loro... da sola.
Ti ho protetto. Difeso. Rimasta... rimasta fedele. Ho detto alla polizia che non mi avevi toccato. Che non avevi fatto niente. Ero una... ero una fuggiasca. Volevo fuggire dai miei genitori, dalla mia casa, dalla scuola. Tu mi hai dato un passaggio nella tua auto. Mi hai aiutato a fuggire. Te lo avevo chiesto, ti avevo implorato. Mi hai portato là e mi ci avevi lasciato. Non vuoi sapere nulla di tutto questo.
Vollero farmi dei controlli. Prendere dei campioni da me. Dottori, polizia. Rifiutai. Nessuno doveva toccarmi. Ho gridato, urlato. Non avevi fatto niente. Non avevi... Io volevo te... ti volevo indietro. Io... mi hanno drogata. Distesa e iniettata. Aperte le gambe e preso... preso via il tuo seme. Evidenza. Mi chiesero che cosa mi avevi fatto. Poi mi dissero cosa avevi fatto quando io non volevo. Volevi solo una cosa. Per questo eri sparito. Avevi avuto ciò che volevi. Mia madre mi urlava. Ella... La polizia, la... una donna psichiatra che parlava... parlava sempre così calma. Gli adulti mentono. Vogliono delle cose dalla gente e mentono per averle e, e non... non sanno nemmeno che stanno mentendo. Non si conoscono. A volte non potevo ascoltarla. Doveva chiedere... ripetere... ripetere quello che sapeva. Sapevo che cosa avevo fatto? Sapevo che potevo far del male agli altri? Persone che mi amavano. Volevo... volevo far loro del male? E... per giorni. Che cos’hai detto? Che cosa mi hai promesso? Quelle parole... Quali parole usavi?
E in tribunale sedevo dietro quello schermo e parlavo. Gridavo. Tu mi hai sentito. Ho gridato più di quanto parlassi. E poi io... dissi troppo, io... Gli avvocati erano furiosi con me. Non era questo che volevano. Non ho potuto farne a meno. Per causa tua. Tu eri là e io non potevo vederti così dovevo gridare. Dovevo farti sapere. Mi avevi lasciato sola. Emorragia. Mi avevi abbandonato. Mi avevi lasciato innamorata.
Quando vennero a casa alla fine... dentro la casa. I miei genitori. Non a casa mia. La casa dei miei parenti. Ero in camera da letto, in attesa. Stavano zitti. Non si muovevano. Io guardavo e aspettavo. Non mi venivano vicino. Pensavo che magari te n’eri andato. Che ti avessero lasciato andare. Avresti potuto tornare e vivere vicino a noi. Finché mio padre... dopo... mi disse “sei anni”. E la notte mi svegliai e mia madre era là. China su di me. Gridando che loro tutti erano stati processati. Che anche lei era stata alla barra dei testimoni e che mio padre dovette portarla fuori dalla stanza. Metterla fuori. E... Il giudice. Che cosa disse di me. Lo ricorderai. Avevo... sospettoso... “sospetti desideri adulti”. Quando mia madre me lo disse non sapevo che cosa significasse.
E non abbiamo più cambiato casa. Loro... Per, per farmi vergognare. Per punirmi. Così, sarei stata additata. E schiaffeggiata per strada. Oppure la psichiatra disse che sarebbe stato meglio rimanere. Per... per la continuità oppure...
Odiavo la vita che ebbi. Tu non lo avresti saputo. Volevo che tu lo sapessi. Sapevo che mi avresti dimenticata
R Ti ho scritto una lettera. Dopo un anno laggiù. Ne ho mandata una. Mi consentirono di mandarla. Prima dovevano leggerla. L’hai ricevuta?
U No. Non ho avuto nessuna lettera
R L’avranno detto ai tuoi genitori
U Che cosa diceva?
R Di dimenticarmi. Spiegava. Giustificava. Che cosa avevo appreso su di me. Pausa. C’era un’altra lettera... Una che non vollero farmi spedire. Pensavo che sarebbe stato bene che la leggessi.
Io tornai. Tornai per te. Pausa. Comprai...
U Tornare indietro?
R Sì. Comprai le sigarette. Io... Ascolta
U È questo che ti sei detto?
R È ciò che accadde. Comprai le sigarette ma me ne andai
U È così che sei solito fare? Per... per... per questo? Per poter sorridere in una foto
R No. Ascolta. C’era un pub. Io... Ascolta. Ho preso un drink. Avevo bisogno di tempo. Dovevo pensare, Progettare. Il traghetto, i passaporti. Come spiegarlo. Che dire. E avevo bisogno di bere. Mi serviva coraggio. Stava per accadere. Ho girato intorno per un po’. Le strade. Dietro, intorno. Sapevo che tu mi stavi aspettando. Ma io dovevo... Finché sono tornato indietro, laggiù, alla pensione. Guardando la finestra. La luce alla finestra. C’era la donna. Toglieva le lenzuola. Disse che te ne eri andata. Che eri corsa via. Che stava accadendo? L’ho lasciata. Ho camminato. Tu non eri alla macchina, dove invece pensavo che fossi. O sulla spiaggia. Ho gridato per chiamarti. Pensavo che ti fossi nascosta. Ho guidato in città cercandoti. Non riuscivo a trovarti. Non sapevo dove fossi andata. Perché te ne fossi andata. Ho cominciato a entrare nel pànico. Pensavo che la polizia sarebbe comparsa ogni minuto, circondando la mia auto. Ho parcheggiato. Sono tornato al pub. Il medesimo pub e ho ordinato un altro drink. Non si era mosso, l’uomo laggiù, il medesimo che mi aveva servito prima. Mi guardava. Mi ha chiesto di mia figlia. L’avevo, l’avevo trovata? E io... lo guardai e dissi di sì, sì l’avevo trovata, stava bene. C’era un altro uomo vicino a me. Mi chiese se avessi una figlia e come si chiamava. Io... e io... Un altro uomo stava alzandosi dal suo posto. Il primo si chinò sopra la traversa del bar, tentando di afferrarmi. Io mi sono tirato via, giurando loro... Loro... Dissero... Tre, quattro dietro di me. Sono corso via. Mi hanno dato la caccia. Due presero a inseguirmi. Mi sono nascosto... sono corso via da qualche parte... li ho perduti. Sono rimasto nascosto per, non so, un’ora. Ho sentito l’orologio battere la mezzanotte. Sono tornato alla macchina e, ho guidato via da là e non sapevo se tu fossi andata alla polizia oppure... se ero io che ti stavo abbandonando... ma non potevo restare. Ho guidato verso Newcastle. Dove ci aveva lasciato il traghetto. Se fossi andata da qualche parte, casomai eri là. Ad aspettarmi. Ho atteso fino all’alba. Poi capii che era finita.
Ho ricominciato a guidare. Non sapevo dove andare. Sono andato a Ovest. Ho udito le notizie alla radio. Sana e salva. Trovata a Tynemouth da una coppia che portava a spasso il cane. La polizia stava cercandomi. Cercando la mia auto. Diedero il numero di targa. Ho guidato verso la costa. Presi delle stradine. Lasciai la macchina là dietro. Camminai. L’estuario del Solway. Ho trovato una cabina del telefono e ho chiamato la polizia. Attesi là finché non arrivarono. Non ti ho mai abbandonato. Pausa
U Ma non c’è differenza. Abbandonare o tornarsene indietro. C’è...
R C’è. Per me c’è
U Meglio per te. Più facile per te
R Non è più facile. È... L’avvocato...
U Perché lo dici? Perché lo dici adesso?
R L’avvocato disse che sarebbe suonato meglio se io ti avessi abbandonato là... perché dimostrava che capivo la serietà... la terribilità di ciò che avevo fatto. Che ero corso via da te. Per... per non tornare mai più. Perché ciò che sarebbe sembrato a una giuria sarebbe diventato ciò che sembrava... Che io stavo tornando per... per avere qualcosa di più. Perché, per che cosa mai sarei tornato da te?
Quando non riuscii a trovarti quella notte. Pensavo che ti fosse successo qualcosa. Sapevo che tu non mi avresti lasciato. Qualcuno dti aveva rapito. Qualcuno stava... facendoti del male. In ogni caso dovevo... dovevo andare alla polizia.
Quando mi trovarono ero sul pavimento della cabina telefonica. Tendomi le ginocchia. Piangendo fuori dagli occhi. Perché ti avevo perduto. Io, io non ti avevo protetto.
Mi ha fatto stare meglio. Il fatto che fossi tornato. Lo fu. Chiunque fossi allora. Mi fece sentir meglio
U Perché non hai spedito la lettera?
R Te l’ho detto. Non me lo permisero
U Ci sarà pur stato un altro modo
R No. Pausa. Lei lo fissa. La luce va via all’improvviso, nella stanza e dalla finestra
U Che è successo? Che è successo?
R Non so. Una arretra fino alla parete
U Che sta accadendo?
R Vado a vedere
U C’è qualcosa che non va?
R No. Aspetta
U Dove stai andando?
R Devo capire che cosa... Resta qui. Va bene?
U Sì
R Ci metto un minuto. Probabilmente è un calo di energia oppure... Aspetta. Apre la porta, esce. Una aspetta, ancora a lungo. Fuori, suoni lontani e porte che si chiudono. Passa un minuto
U Ray. Ray. Va verso la porta, guarda fuori nel buio, timorosa. Torna indietro. Torna la luce nella stanza ma non dalla finestra. Ray ritorna.
R Sono incredibili
U Chi?
R Loro. Tutti loro. Se ne sono andati.
U Tutti?
R Sì. Per andare a casa
U Le porte sono bloccate? Siamo...
R No. No. Ho le chiavi. Posso chiudere
U Perché non te l’hanno detto?
R Non lo so. Loro... Sono stupidi bastardi. Che c’è che non va? Uno di loro deve all’improvviso... aver smesso di pensare. Sono...
U Sei tu che chiudi?
R Ho le chiavi. Di solito sono l’ultimo
U Chiudi tu stanotte?
R Sì. Perché?
U Sei tu il...
R Che cosa?
U Il guardiano notturno? La, la... sicurezza?
R No
U Il custode, il bidello? Lo sei?
R No
U Devono credere che tu lo sia
R Non lo sono
U Non hai finito di chiarire. Avresti...
R In una...
U ... un inizio migliore.
R In camicia?
U Guarda tutto questo
R E pantaloni come questi. E queste...
U Tu hai...
R ... scarpe?
U ... una forma di fissazione
R Non ho detto “il mio gruppo di custodi”, la foto. Cosa vuoi dire con “fissazione”? Ho una posizione, qui. Pausa
U Non so chi io stia guardando
R Ho lavorato per avere questo. Ho lavorato per stare qui
U Lo sai?
R Ogni cosa era finita per me. Chiusa per me
U Lo fanno tutti?
R Ho sgobbato. Per non essere un bidello. Un guardiano. Un ubriaco. Un... un rifiuto. Per salvare qualcosa da...
U Non sei cambiato. Ancora solo chiacchiere... parliper avere, per... Mentisci e non sai ancora chi sei
R Sta’ zitta
U Non so che cosa credere, Ray. C'è così tanto da scegliere. Vivi qui dentro?
R Che?
U Magari tutto...
R Di che cosa stai parlando?
U ... questo cibo è tuo. Questo è tuo. Vivi qui e... non vai mai via. Mai... non hai nessuno
R Ho qualcuno
U Vivi qui e mangi qui
R Ho trovato qualcuno. Io...
U Sa... Sa che tu mi venivi dietro? Glie lo hai mai detto? Non glie l’hai mai detto. L’hai fatto? Tu non le hai detto niente
R Volevo farlo. Volevo ma... non volevo. E abbiamo una vita insieme. Ho fatto il meglio il meglio che...
U Tu
R ... potevo immaginare. A partire da quella cabina telefonica. Da quel... quel... pianto sulle mie ginocchia. Ho... i miei genitori. La famiglia. Quand’ero dentro. Gli amici. Nulla per me. Rifiutavano di fare alcunché. Il mio appartamento è stato ripreso. Avevo debiti. Non avevo nulla. Ma ho trovato lei. E sono il più fortunato...
U Gesù!
R ... l’uomo più... più grato.
U Posso incontrarla?
R Non essere stupida
U Ma io non sono stupida, Ray. L’hai detto tu che non sono stupida. Voglio incontrarla. Questa donna meravigliosa. Che non ti dimenticherà se sapesse. Che... Descrivila. Com’è?
R Perché?
U Vieni. Come appare?
R No
U È carina? Attraente? Ray si volta lontano da lei. Una lo segue avvicinandoglisi. Bionda, brunetta? Alta o bassa? Sveglia o stupida? Ignorante. Tu, codardo. A vivere così
R Perché non chiudi la tua boccaccia?
U Odierei di essere lei. Quanti anni ha? Qual è la differenza d’età? Quanto
R Un anno. Un anno più vecchia di me
U Così ha la tua età. Ha sessant’anni
R Non ne ha sessanta
U Tu ne hai almeno sessanta. Ray si volta lontano da lei. È ancora sexy? Te lo fa ancora rizzare?
R Sì
U Che cosa ti fa?
R Gesù!
U Che cosa ti piace? Quel certo rilassamento cutaneo? Che cosa sa fare meglio?
R Tu sei malata. Tu hai...
U Non sono malata
R Non venirmi vicino
U Non sono malata. Solleva una sedia, glie la getta contro. Non sono malata. Tu lo sei. Ne prende un’altra. Ray cerca di fermarla. Lottano insieme. Una cade a terra, grida per il dolore
R Stai bene?
U Va via da me. Pausa
R Quanto ti ci è voluto a guidare?
U Perché? Hai guidato recentemente? Una sbotta in una forte risata. Hai... sulla camicia. È sporca. Cibo o...
R Gesù!
U Che cos’è?
R Non so. È sporca. Gesù. Devo... Va a un armadietto, lo apre. Niente. Credevo che ci fosse un’altra camicia. Si siede. Sono stanco
U Sono stanca anch’io
R Ho cominciato alle sei stamattina
U Giornata lunga
R Doppio turno
U Ti piacevano i bei vestiti. Quella giacchetta che avevi
R Non so che fine abbia fatto
U I tuoi abiti adesso, sono...
R Lo so. Di buon prezzo. La paga non è granché qui. Non mi pagano abbastanza per quello che faccio. Dovrei chiedere di più. Mi piace quello che indossi. Pausa
U Dov’è l’acqua? Egli prende su la bottiglia d’acqua, glie la dà. Ella beve. Pausa. Ho un impiego. Un lavoro. Prima, ho lavorato per pochi anni. Adesso lavoro. Guadagno bene. Bevo con moderazione. Nessun problema di cibo. Alcuni amici. Non molti. Il mio appartamento potrebbe essere più grande. Sono una pessima guidatrice. Ma la mia auto va alla perfezione
R Come sta tua madre? La vedi?
U Non ho scelta. Mi vede. Mi tiene sotto stretta osservazione. Ancora non si fida. Se sapesse. Cambierebbe colore. Ride improvvisamente fra sé. Mia madre. Ha cominciato a cercarmi degli amichetti. A chiedere in giro. Qualche anno fa. Uomini eligibili. Figli di amici, di vicini. Li invitava intorno casa. Prendevamo del tè. Era come nel diciannovesimo secolo. Per ottenere la mia mano. Perché io... Ho dormito con un sacco di uomini da allora. Un sacco. E quando ero infelice. Quando ne avevo abbastanza... allora... quando avevo fatto soffrire abbastanza i miei genitori... perché glie lo dicevo... raccontavo loro quel che facevo con questi uomini... smettevo
R Quanti?
U Non crederai che mi metta a contare, no?
R Non so. Potresti
U Ottantatré
R Hai qualcuno adesso?
U Sì
R Sa che sei qui?
U No. Non glie l’ho detto. Non gli ho mai detto niente. Non volevo. Mi piaceva molto. Siamo separati adesso. Dopo tre anni. Ma lo amo. Voglio tornare ad amarlo. La mia bocca è secca
R Birra
U Sì. È questo che bevi?
R Qualche volta sì. Vino. La birra andrebbe meglio. Ne vuoi?
U Usciamo per una bevuta?
R C’è un posto non lontano
U Un drink?
R No
U No
R Il mio stomaco. Troppa birra. Hanno della birra buona
U Birra europea?
R Non so da dove viene
U Olanda
R Dicono che viene dall’Olanda ma è prodotta a Newcastle. Ridono
U Il traghetto da Newcastle non va ad Amsterdam
R Lo so. Ridono ancora
U È un porcile qui
R Loro sono... Tornano domattina e mangiano ancora qui in mezzo a questo... e non... perché il bidello... il... che pulisce... sia il peggiore. Non fa nulla. Legge. Ha un ufficio e sta seduto e legge e...
U Dov’è adesso?
R Si è dato malato. Sempre malato. Ogni volta si sente così. Tocca ancora la sua camicia. È disgustoso. È un porcile. Va al secchio d’immondizia e gli dà un calcio. Cade, l’immondizia si sparpaglia. Dà calci all’immondizia. Una gli si unisce. Dànno calci insieme. L’immondizia giace dappertutto. Ricominciano. Egli si ferma, senza fiato, si siede. Ella gli va vicino
U Tutto bene?
R Credo. Sento come una frerita. È così bagnata. Morirò a sessant’anni. So di volerlo. Ho sempre... qualche... credo che accadrà. Sessanta. Una sensazione. Mi restano ancora quattro anni. Quattro da vivere.
Immaginavo come saresti cresciuta. Cosa saresti diventata. Il tipo di persona che saresti stata. Come avresti vissuto. Vederti adesso. E così infelice. E io sono la causa di questo. Non avrei mai voluto ferirti
U L’hai fatto. Egli allunga una mano, l’accarezza.
R Eri solitaria. Prima di incontrarmi. Quando mi hai incontrato. Eri solitaria. Eri una bambina solitaria. I tuoi genitori ti lasciavano a te stessa. Non lo hai mai detto ma... quando ti ho tenuto fra le mie braccia ho potuto sentirlo. Vedo adesso. Pensavo che fossi una forte. Non lo sei. nemmeno io. Si baciano. Ti pensavo. Ti penso
U Che cosa pensi? Pensi a me, allora?
R Sì. Sì, lo faccio. È tutto quello che ho
U In questa stanza?
R Sì. Toccarti. Tenerti
U Scoparmi?
R Sì. Scoparti
U Ti masturbi? Vieni?
R Sì. Si baciano. Più intensamente. Cominciano a spogliarsi a vicenda. Si sdraiano. Ray si alza. No. Non posso. Non posso
U Io lo desidero
R No
U Perché no?
R Mi dispiace. Non posso.
U Sono troppo vecchia? Fuori dalla stanza, a una certa distanza, si sente la voce di una giovane adulta
Voce Peter?
R Va tutto bene. Sembra che egli non l’abbia sentita
U Ha...
Voce Peter? Egli fissa la porta
U È lei?
R Sì. La voce chiama, più flebile, un poco più lontana di prima
Voce Peter, ci sei?
R È dall’altro lato dell’edificio. Possiamo...
U Che cosa?
R Dobbiamo uscire. Pausa. Si sente il rumore della maniglia che gira. Una si muove verso la parete lontana. Ray va verso gli armadietti. La porta si apre ed entra una ragazza di dodici anni
Ragazza Sei qui. Peter. Sei qui.
R Ciao. La ragazza va verso di lui e lo abbraccia. Che fai?
Ragazza Ti cercavamo. Dov’eri?
R Ero qui. Mi stavo cambiando. Si allontana da lei. Sono occupato
Ragazza Che fai?
R Guardavo questa immondizia
Ragazza Ti aiuto. Si china a raccogliere l’immondizia. Mangi troppo. Ride da sola
R No. No, cara. Non farlo. Più fermamente. Lasciala andare. La ragazza getta l’immondizia e lo fissa. Va a cercare tua madre. Dille che sto venendo. Dille che ci vediamo all’engresso. Prendo l’auto e ci incontriamo all’ingresso. Aspettami là. Mi bastano pochi minuti. Va
Ragazza Vieni con me
R Non posso
Ragazza Perché?
R Ancora non posso. Lo voglio. Cinque minuti. Devo chiudere le porte
Ragazza Perché non posso stare qui con te?
R Non dovresti nemmeno essere qui. Non dovresti essere qui. Non è permesso. Devi andare adesso. La ragazza vede Una
Ragazza Chi è? Peter? Perché è qui? Perché si nasconde?
R Non si sta nascondendo
U Non mi sto nascondendo. La ragazza si avvicina di più a Ray
Ragazza Peter, chi è?
R Un’amica
Ragazza Lavora qui?
R No
U Stavamo giusto parlando
R E tu ci hai interrotto
Ragazza Vieni via con noi?
U No
R Cara...
Ragazza Conosci mia madre?
U No, non la conosco
Ragazza Qual è il suo nome?
R Una
U Dovresti andare adesso
R Dovresti
Ragazza Voglio stare con te
R Cara, non puoi. Devi trovare Mamma
U Va. Ti prego. Va. Devi farlo. Una guida la ragazza fuori della porta. Silenzio. Non è tua?
R No. Un altro uomo. Tu non sei la mia... la mia... Non ti ho detto tutto. Una ha un gemito. Non l’ho fatto
U O Cristo!
R Non... Cosa stai pensando
U Non puoi. O Dio!
R No. Non potrei. Credimi. Le va più vicino. Mi prendo cura di lei. Bado a lei. Non potrei mai. La afferra. diventando più insistente. Non lo farei mai. Non vorrei. Credimi. Devi credermi. Si ferma. Mai. La abbraccia, accarezzandole il volto. La bacia. Ella non risponde. Egli si stacca da lei. Non c’è nulla che io possa dire. Si fissano l’un l’altro. Pausa. Guardano entrambi la porta. Ray fa un passo verso di essa.
U Aspetta. Non puoi
R Devo
U No
R Devo andare con loro
U No
R Hanno bisogno di me. Ella si avvicina, lo trattiene
U No. Non puoi. Non puoi tornare da loro
R Lasciami. Lasciami
U No
R Lasciami andare. Lasciami. Devo
U Non puoi
R Allontanati da me. Ella gli si aggrappa più strettamente. Egli la spinge via. Ella va dietro di lui
U Lasciami venire con te. Loro devono sapere
R Fottiti via da me. Egli la getta via. Una barcolla all’indietro. Ray esce
U Ray! Una esce dalla stanza. La stanza è vuota. Fine.

Roma, finito il 6 dicembre 2011