giovedì, settembre 14, 2006

Venerdi' 8 settembre 2006. Mosca

Mosca Mosca. In metro. Stazione Partisanskaia per la Krasnaja Plosha. Paola fa amicizia con una matrioska che sembra uscita da un romanzo russo dell'800. Si capiscono a gesti, ridono, ammiccano. La signora chiede timidamente qualche rublo e glie ne diamo 100 (3 euro) e non le sembra vero. Benedizioni e sorrisi. All'uscita, mentre cerchiamo di capire dov'è l'uscita, un altro ci si propone in qualche forma di inglese per guidarci fuori. Mia moglie malata. Serve una guida per la città? Gli diamo i soliti 100 e ne vorrebbe ancora. Non possiamo dargli torto, ma ci sganciamo.
Piazza Rossa! Quando ci sono stato trent'anni fa era coperta da una fila serpentina che aspettava il turno per vedere il cadavere di Lenin; adesso ci sono sposi che fanno le foto. Ma Lenin pare sempre lì anche se il portone del mausoleo è chiuso e non c'è neanche nessuno di guardia. Ai miei tempi (si può dire?) c'erano agenti KGB dappertutto e mentre sfilavi all'interno ti osservavano fisso casomai stessi pensando a qualche attentato che, in quelle condizioni, sarebbe stato puro suicidio.
Ci facciamo delle foto anche noi e poi dritti a vedere l'interno di San Basilio, che non mi avevano lasciato vedere trent'anni fa. Minuscola e angusta che non si crederebbe guardandola da fuori. In una cappella un coro di tre ragazzi intona un coro religioso con quella voce meravigliosa tipica dei canti russi. In quell'ambiente, in più, ci si commuove. I ragazzi vendono direttamente i loro CD. Una macchina stampa a richiesta medagliette di latta con immagini sacre da appendere al collo.

A due passi ci sono i famosi magazzini GUM: obbligatoria una visita nell'edificio che da fuori sembra un ministero o un grande albergo anni '20. Entrati, sembra il medesimo splendore di 30 anni fa. No: adesso ci sono le scale mobili e i negozi sono più o meno quelli stessi che trovi da noi, compresi i fast food. Pausa per una pivo (birra, pron. piva) e un the (chai, come più o meno in tutto il mondo meno, credo, che in Francia Italia e Inghilterra). Qui la batteria della Canon decide di andare in riposo: forse è questo il luogo adatto per trovarne una di ricambio. Ci si scontra inizialmente con la propensione al servizio dei russi, per cui la ragazza del chiosco delle informazioni ci manda, in uno scrabbling english, a un negozio di fotocopie. Batarìa? Niet batarìa. Ma c'è poco lontano un negozio di telefonini, fornitissimo. Qui l'inglese è un poco più fluente, ma proprio il nostro modello non c'è. Pazienza: niente più foto-documentazione su Mosca fino a domani.
E allora via Barbarka per andare alla Kitai Gorod, con il famoso albergo Rossia in demolizione per farne uno più bello e più grande. Povero Rossia, fa tristezza vederti demolire pezzo su pezzo. Via Lubianka, dove c'era Beria... ma anche la piazza Slavankaia e la statua agli eroi Cirillo e Metodio, inventori d'alfabeto, con lumetto eternamente acceso da una fiamma alimentata dall'olio fornito espressamente e nientedimeno da Gerusalemme. Ma il lumetto è spento.
Indietro alla vecchia via Arbat, cuore dei frichettoni locali e di locali (nel senso di esercizi commerciali) italiani. C'è anche un inaspettato ristorante "Liguria" costruito all'angolo di un palazzo moderno ma come se ne fosse un'appendice medievale che ricorda i castelli della Disney. Promette trenette al pesto e vino delle Cinqueterre.
Ma c'è anche una nuova via Arbat, traboccante di omologata modernità. Ma guarda! Un gigantesco negozio di accessori elettronici vicino al solito "casino"; vuoi vedere che...? Dozzine di batterie, ma non quella per noi. Ci sarà pure un negozio Canon a Mosca, perbacco, ma dove? Sulla nuova Arbat passano ogni tanto giovanissime bellissime elegantissime inarrivabili e sicuramente costosissime del genere top model, come nel maggio di due anni fa, a bizzeffe, lungo la Nevsky prospekt di Leningrado, pardon, Città di San Pietro.
Già la stanchezza comincia a farsi sentire ed è quasi ora di cena e, fiduciosi della Lonely Planet, siamo alla ricerca di un ristorante georgiano segnalato ma che è lontanissimo e introvabile perché, scopriamo poi, è accuratamente nascosto nel retro-giardino di un caseggiato. Facciamo amicizia con il ragazzo che canta per i commensali, un baritono che studia opera lirica al conservatorio ma che, per necessità, pratica le canzoni di Jovannotti per rovinarsi la voce. La cena non è gran che o non sappiamo ordinare i piatti giusti e si ritorna all'Ismailovo, ché domani mattina viene a prenderci Irina per scortarci all'aeroporto.
Buona notte Mosca. Un milione di cose non viste né esperite: sarà per la prossima volta.

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