lunedì, settembre 25, 2006

Sabato 18 settembre 2006. Ai tre fratelli

La baia di Avacha è, come detto, grandissima e ricca di insenature, con diverse navi mercantili alla fonda. Elena conosce il master & commander di un'imbarcazione ormeggiata nel porto militare, che può portarci a esplorare la baia fino al suo sfociare nell'oceano per poche migliaia di rubli. Servono però anche i nostri passaporti perché tutta la zona è sotto controllo militare. L'altro ieri alcuni russi del congresso hanno potuto visitare una base di sommergibili (questa è la Maddalena russa...) ma non noi ché siamo stranieri e, ancora una volta, non si sa mai... Meglio così, perché dei sottomarini non importa a nessuno, ma una bella navigata per la baia, e in superficie, è più che benvenuta.
Ci accompagna in macchina al porto militare Igor con Maxim e la nostra Elena. Lei verrà con noi ma i due uomini di casa no: andranno a farsi un bel giretto. Con Elena viene anche una signora (per me è la fidanzata del master & commander con la figlia - di lui? di lei?). Si sale su un peschereccio arruginito e ci si cala su una pilotina non meno antica. Sul quadrato di poppa c'è però una bella graticola per braciare i pesci. Elena e l'amica preparano sùbito il pic-nic: olive, spratti affumicati e sott'olio di girasole, conserva di felci, biscotti salati, dolcetti e l'orrido liquore dolce già provato ieri.
La barca sfila lungo la costa della baia verso il mare aperto, verso i faraglioni che chiamano "tre fratelli", aghi piantati nel mare a dimora dei gabbiani. Altro isolotto è chiamato "coccia di morto" (ovviamente, in russo) e, al ritorno, seguiamo l'altra costa, più accidentata e articolata, con grotte e archi sul mare. Si vede qualche foca o leone marino che nuota con la testa appena fuor d'acqua. E gabbiani e folaghe.
Cala improvvisa una nebbia che nasconde tutto e la temperatura si abbassa di colpo. Ma la barca usa un navigatore satellitare che traccia la rotta e disegna il profilo della costa. Il master & commander mi ficca in capo il berretto da capitano, mi pone al timone e mi presta la sua pipa: vengo foto-immortalato nelle vesti del comandante. Cerco di seguire la rotta tracciata dal satellite, ma è faticoso, non so se devo girare la barra a destra o a sinistra quando la barca si allontana dalla retta via. Me lo spiega ben lui in russo ma non capisco...
Lascio perciò la mia ahimè breve funzione di manager rimettendogli in testa il suo berretto e torno a ingozzarmi di spratti, veramente buoni. Quando lavoravo all'associazione Italia-URSS ne vendevamo a quintali, nelle loro scatolette tonde. Intanto, osserviamo il progredire della nebbia che a poco a poco ricopre tutta la baia.
Sulla terraferma, Igor e Maxim non ci lasciano ancora andare e ci portano in macchina su una collina prospiciente la città, con la vetta coperta di antenne radio e deltaplani in volo. Da lì si vede un panorama amplissimo: la città alle nostre spalle a est e la foce-delta dell'Avacha a ovest, con il sole del tramonto e la nebbia che si espande inesorabilmente. Sullo sfondo, il Viluchinski che abbiamo affrontato ieri.
Grazie Elena e grazie tutti. Promette di venirci a trovare in Italia; tempo fa, accumulando i soldi, la famiglia ha girato la Spagna, e l'Italia è d'obbligo. Speriamo di sì, perché Elena è davvero simpatica e cordiale.
In albergo ci attende una signora che ci ordina in russo di andare al bar per cenare. Non abbiamo fame con tutti gli spratti trangugiati, ma l'invito, seppur cortese, è perentorio. Ed è, effettivamente, una cortesia: l'organizzazione ci offre la cena e pagheremo solo le bevande. Poi a letto presto per preparare le valigie, ché domani Lena sarà qui già alle 9 per il passaggio in aeroporto.

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