lunedì, settembre 25, 2006

Venerdì 15 settembre 2006. Festa di chiusura

Ieri e oggi senza particolari avventure, se non quelle legate ai tempi e ai contenuti del Congresso, se non altro per seguire la presidenza di Paola nel pomeriggio che conduce, manco a dirlo, benissimo e che poi, quando è il suo turno di parlare, viene necessariamente interrotta ogni tanto dall'interprete che deve rincorrerla per tradurre in russo il suo rapido profluvio verbale. Poi chiusura della conferenza, con ringraziamenti, sfottò alle autorità e distribuzione di regali.
Venerdì sera, però, è anche in calendario la festa di chiusura, scarrozzati con il solito pullman scortato, fino a un ristorante-balera. La bibliotecaria ospite della conferenza, una moretta di mezz'età ma vivace e spigliata, s'è cambiata nel suo ufficio in un batter d'occhio: si è anche sciolta i capelli e indossa un abito da sera che, snella com'è, le sta benissimo - al punto da non riconoscerla se non si fa riconoscere lei.
Ma prima... gita sociale al mercato della città (anzi, a uno dei mercati). Amo le gite ai mercati. Servono a capire, meglio di qualsiasi altro meccanismo (forse, seconde solo alle gite ai cimiteri) l'aria che tira nella popolazione. Che cosa pensa, come si gode (o non) la vita, se è morta o se è viva nell'anima, e cose simili.
Due autobus con la solita polizia di scorta. Prima un giro per i luoghi ameni della città: le colline panoramiche, il porto visto dall'alto, le teleferiche arruginite che, in realtà, sono skilift per gli abitanti che d'inverno salgono sui monti circostanti per fare discese a rottadicollo. La neve è sempre tanta, anche 3 metri, per cui la mattina ci si butta giù dalla finestra del primo piano... e l'ultimo pianta una pala davanti a casa perché il primo che torna deve, se vuole entrare, spalare...
Ed ecco il mercato. Ricco. Neanche l'ombra dei mercati dei tempi andati. Tripudio di forme e colori vegetali e di spezie. E il pesce. Specie mai viste, ma, soprattutto, storioni, salmoni (cinque specie esclusive), aringhe grosse come tonni. Tutto seccato, affumicato, filettato, salato. E il caviale rosa in quantità mai viste. Secchi e bigonci colmi. Te ne mettono una cucchiaiata sul dorso della mano e tu assaggi, per scegliere il migliore, da quello più rosa a quello più giallo, con tutte le gradazioni intermedie. Un paradiso. Alcuni dei nostri co-convegnicoli comprano a tutto spiano; si vede che i prezzi sono buoni. Comprano anche convegnicoli che vengono da lontano, da Mosca, da Pietroburgo. Si fanno la scorta. Viaggeranno in aereo con buste di plastica che ospitano fasci di carta che avvolgono animali secchi. Ci sono anche piccoli banchi, domestici, appoggiati su carrozzine da neonati, che vendono la poca frutta o verdura dell'orto. Non compro nulla ma fotografo il bendidio: ho già impegnato mezzo chilo di caviale rosa da una della biblioteca del convegno. Sono curioso di vedere in quale confezione me lo darà, visto che devo viaggiare molte ore in aereo.
Ed ecco il ristorante, moderno, non lontano dal mare, che dev'essere anche qualcosa di più, viste le proporzioni: albergo, balera, o chissà che.
Entriamo. Tavolate immense con i nomi scritti ai posti e tutta la cena già sciorinata davanti: aspic, vol-au-vent e tartine infinite e deliziose, di pesce, di carne, di verdura; e caviale rosa e vino bianco e rosso e, naturalmente, la vodka. Fioccano i brindisi: ogni volta ci si inventa a chi brindare e poi giù tutto d'un fiato, e si ricomincia. Anche Paola, che inutilmente tenta di farsi passare per astemia...
Poi il lato retorico, immancabile, probabilmente, nell'ospitalità russa. Vengono distribuiti altri premi. Si fanno discorsi ampollosi dove le parole Rossìa, Naròdnaia, Kamchatska, Bibliotèk, e simili vengono ripetute molte volte. Ci si abbraccia e ci si bacia (e un premiato impone il "bacio alla russa" sulla bocca della bibliotecaria: a quanto pare questa tradizione non esiste più). E si ricomincia. Irina e io ci scambiamo ogni tanto un'occhiata d'intesa e, senza parlare, tanto ci si capisce, ci alziamo per andare fuori a fumare. Ci appartiamo in un angolo attrezzato e siamo sùbito circondati da viziosi con il loro metadone penzoloni fra le labbra. Vorrei sondare la sua aria eternamente triste, ma la folla dei fumatori maledetti loro e il rumore che viene dalla sala impediscono la conversazione.
Al ritorno, colpo di scena: ragazze, ragazzi e bambine, tutti vestiti da aborigeni, ci intrattengono con danze quasi tradizionali. C'è una scuola di tradizioni popolari e loro ne sono gli allievi. Gli abiti sono quelli che ben conosco dai Navajos di Tex Willer (in effetti, i paleo-siberiani sono progenitori degli amerindi) e le coreografie sono in parte sciamaniche (un ballerino morde un'amanita muscaria e ha visioni di fanciulle che gli danzano intorno, eccetera) e in parte raccontano deliziose storielle d'amore e di disavventure di pesca.
Poi attacca il cantante, la solita voce profonda e melodiosa dei russi, e si balla. Lena si accosta a Paola e le sussurra nell'orecchio il permesso di ballare con me. La merce di scambio è accordata, naturalmente. Ma davvero? E come farò con la mia gamba più corta? Mi agito cercando di tenere il ritmo indiavolato e invento anche qualche figura coreografica. Grazie Lena, sei stata deliziosa. Ora mi ci vuole però un'altra vodka. Irina mi fa un provvido cenno prima che Lena o qualsiasi altra si ripresenti, e via di nuovo a fumare. Questa volta andiamo fuori, ma fuori è un'altra folla di fumatori. Immagino che Irina volesse dirmi a sua volta qualcosa, ma il crocchio di gente ancora lo impedisce, e in più sembrano tutti molto incuriositi da me e Irina mi fa da interprete. Al nostro ritorno, apprendo che Paola è stata invitata a ballare dal Norvegese, e che se l'è cavata benissimo, anche con applausi. Evento raro, peccato non essere stato presente per una foto...

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